Finalmente sono tornato a correre un Trail con il pettorale attaccato alla maglia.
Una sensazione che mi mancava dall'inizio dell'anno. Non tutto è andato liscio,
ma le sensazioni che ho provato in gara non sono state affatto male.
A tre settimane dal via dell'Adamello, quasi sette ore di gara sono state un ottimo banco di prova.
L'Hoch Wechsel Trail è una gara alla quale non avevo mai partecipato. Il percorso è molto vario e
si snoda in diverse fasi.
La prima è quella porta fino in cima all'Hoch Wechsel, a 1735 metri di quota, partendo
da Kirkberg ai 581m. Una salita lunga 15,5km che presenta diversi tipi di pendenze, senza però mai mollare.
Per le condizioni di terreno e di collocazione, penso che sia la parte più facile da gestire.
Una volta arrivati in cima, comincia una fase ricca di saliscendi con fondo molto vario e sconnesso.
Un misto prato roccia fatto apposta per distorcere la caviglia e inciampare. Qualche lampo di discesa ripida e sconnessa
per poi arrivare su una forestale in leggera salita ammazza gambe. Il tratto finisce in una ripida discesa su fondo
roccioso molto sconnesso.
Questa, tutto sommato, è stata la parte dove decisamente sono andato meglio.
Il caldo, però, non mi ha dato tregua e dei fastidiosi crampi mi hanno assalito. Una condizione molto simile a quello provata al Trail del Salame nel giugno 2017. Da questo punto non ho più potuto
spingere e quando l'ho fatto, sono poi caduto inevitabilmente in discesa. Chi abbandona una gara per via dei crampi ha tutta
la mia comprensione.
La terza parte comincia con una contro-salita con dei gradienti non indifferenti in pieno sole e in mezzo ad una folta vegetazione.
Qui ho dovuto aggiungere una breve pausa non prevista per poter tornare a respirare normalmente. Non sono decisamente queste le condizioni
in cui i miei polmoni danno il meglio di se, e certi vegetali non mi danno scampo.
Però, una volta terminata la salita, il resto è scorso via molto facilmente.
Per ultimo, dopo aver passato il paese di St. Corona, ci sono stati cinque chilometri di discesa molto facili, che mi hanno invitato a testare, inutilmente, la mia tenuta coi crampi.
Più che altro qui bisogna stare attenti alla navigazione, in quanto è molto facile seguire
un corridore davanti che sta sbagliando strada.
Dopo 6h:49' ho terminato i 44,8km (2184 D+) previsti concedendomi una po' di relax sul prato dell'arrivo davanti ad un ottimo rinfresco finale.
La posizione è 29-emo di categoria, in piena sintonia col pettorale numero 29.
Per finire, l' Hoch Wechsel Trail è sicuramente un'esperienza da ripetere.
La conferma della gara dell'Adamello 2020 mi ha dato un nuovo entusiasmo per quanto riguarda questa stagione 2020. I prossimi appuntamenti per me saranno:
05.09 Hoch Wechsel Trail, una gara che non conosco, ma che sembra fatta apposta per una bella rifinitura in vista dell'Adamello.
25.09 Adamello 170.
31.10 Wien Rundumadum, il classico giro attorno a Vienna.
Tre gare alle quali non vedo l'ora di potervi partecipare. Quest'anno non è decisamente il tempo per manifestazioni dove la massa la fa da padrona. Si perde quel feeling che solo il grande evento può dare, ma rimane la possibilità di trovarsi in solitaria lungo percorsi incredibili.
Può darsi che le manifestazioni con un numero relativo più basso di iscritti, rispetto ad un grande evento, vivano di riflesso. Però offrono delle peculiarità che altre gare non hanno. So che la maggior parte non la pensa come me, altrimenti i flussi dei corridori sarebbero differenti, così come, forse, i discorsi nei bar, o magari in linguaggio più moderno, i temi sui social.
Sono anche convinto che quella di quest'anno sarà solo una fase transitoria. Che per poter partecipare all'Adamello 2021 o Wien Rundumadum 2021 non saranno necessarie lotterie o fantasticherie virtuali. I grandi eventi ritorneranno più forti di prima, con ancora più candidati. Perché la vita normale non ne può fare a meno e la presenza del gruppo aiuta. E, per quanto mi riguarda, potrò continuare a collezionare punti qualificazione in gare semi sconosciute, perché prima o poi verrà il momento in cui, finalmente, troverò il coraggio di partecipare all'estrazione. È bello avere davanti un obbiettivo da raggiungere.
Questo è il mio blog sulla corsa, quindi, di solito, lo aggiorno quando ho delle novità riguardanti le mie attività podistiche.
Dopo la Spine Race e la fase in cui stavo preparando le varie maratone primaverili, il mio approccio alla corsa è cambiato. Nessuna gara, nessun allenamento mirato. Non che prima lo fossero, ma la differenza l'ho notata.
Cosa è rimasto? Solo un tipo di attività, che alla domanda del dottore durante la visita annuale del tipo: "Svolge attività fisica?", otterrebbe una bella risposta tipo: "Certo e nelle dosi consigliate dall'organizzazione della sanità". Una quantità che, però, non è neanche sufficiente a raggiungere le righe di questo blog.
Volendo, la serie sulla "Spine Race" sarebbe stato un degno finale per questo blog, e anche l'occasione per dedicarmi a qualcos'altro.
Le righe di questo nuovo post significano solo una cosa: "Non funziona".
È una questione di equilibrio. Quello che scompare quando svolgo, nell'arco di diverse settimane, magari massimo tre uscite settimanali di un'oretta striminzita, mentre il resto del tempo lo passo a pigiare dei tasti, guardare dei video o muovere dei mouse. Di contro compaiono nuovi dolori alle mani, spalle, schiena e collo mai provati prima.
Lo stile di vita quotidiano, che torna ai suoi soliti ritmi di sempre, forse richiama fortemente un tipo di allenamento del passato. Sono così bastate un paio di settimane di allenamento a frequenza post Spine Race per cancellare via via tutti i dolori alla parte superiore del corpo.
Ritrovato l'equilibrio fisico, il passo successivo è stato quello di ritrovare la voglia di preparare e partecipare ad una gara. Così, all'ultimo momento, mi sono iscritto alla 24 ore di Bad Blumau dello scorso quattro luglio. Senza preparazione, senza motivazione e con condizioni meteo per me tutt'altro che ideali. Il risultato? 132,29 km, una cifra che è confrontabile con la distanza del WRU, dove anche nel più scarso dei giri attorno a Vienna, sono sempre stato sotto le diciassette ore. A Bad Blumau, invece, ho impiegato otto ore in più su un percorso piatto.
Una gara da cancellare? Forse, ma pochi giorni dopo la conferma della mia iscrizione all'Adamello Ultra Trail 2020 del prossimo settembre, mi hanno fatto riconsiderare l'evento di Bad Blumau. Una notte passata in movimento, chilometri accumulati senza distruzione delle gambe, hanno pian piano rimesso in moto tutto il movimento che sembrava essersi inceppato o addirittura bloccato.
Seguiranno altri post in vista dell'Adamello 2020 e, probabilmente, anche dei resoconti di gare in vista dell'evento organizzato a Vezza D'Oglio.
L'ultimo post della serie Spine Race lo dedico, come promesso in precedenza, al materiale usato.
La Spine Race ha una lista di materiale obbligatorio contenente 29 elementi.
Il primo elemento è lo zaino. Ho provato in allenamento un Raidlight 20L comprato qualche anno fa con borsa davanti. Un modello ormai superato, sviluppato per la Marathon des Sables. Non mi ha convinto in quanto non riesco a farci stare dentro tutto il materiale. Allora sono passato all'ultimo modello della Raidlight, il Revolutiv da 24L con un peso di soli 270 grammi. Già dalla prima uscita, inizio ad avere delle perplessità sulla sua tenuta e ne compro un secondo modello più stretto. Non è solo la taglia troppo larga, ma anche la consapevolezza che usandolo in ogni allenamento a pieno carico, la probabilità di romperlo non è trascurabile. Per la cronaca lo zaino non ha tenuto tutta la gara. Al checkpoint 4 penso di cambiarlo in quanto i segni di rottura sono evidenti, ma poi decido di rischiare con lo stesso zaino, più per la mancanza di voglia di vuotarlo. Prima del check point 5.5, però, mi trovo a correre in discesa con una mano sotto lo zaino per evitare il peggio, e a rimpiangere la decisione del mancato cambio. Il materiale esterno non è resistente all'acqua, per cui il contenuto l'ho riposto in diverse sacche impermeabili, che hanno un peso non trascurabile. Sicuramente non un zaino adatto alla Spine.
Le scarpe. Le prime scarpe che ho comprato apposta per la gara sono state le Salomon Gtx. Scarpe in Gorotex, pesanti con suola rigida e stabile, molto adatte al cammino. Le ho usate in allenamento in qualche camminata cittadina sotto la pioggia scivolando spesso. Non le ho più messe e non rimpiango la decisione. Poi sono passato alle Sportiva Tempesta. Scarpe che sembrano fatte apposta per la Spine, con il materiale Gorotex e la ghetta incorporata. Il vincitore, Kelly, mi sembra le abbia indossate in gara così come il mio compagno di viaggio il francese Francis. Non sono un fan del Gorotex sulle scarpe, anche perché non riesco ad usarle in allenamento, a meno che non ci sia pioggia, o al massimo 5 gradi. Condizioni che sono state veramente rare qui a Vienna nel periodo di avvicinamento alla gara. Della Sportiva a me non piace la suola rigida. Non ci sono abituato e i miei piedi ne risentono in gara, spikes a parte. Forse se abituassi i miei piedi alle suole Sportiva, usando magari dei modelli estivi, credo che riuscirei ad usarle. Ma a quello che i miei piedi sono abituati sono, senza dubbio, le Hoka Speedgoat. Le ho portate in Inghilterra solo per fare il tratto fino al check point 1. Così pensavo, anche perché erano già molto consumante, e in dicembre non sono più riuscito a sostituirle con un modello nuovo. Invece le ho usate per i due terzi della gara. Le Speedgoat nella Spine le ho usate con le calze impermeabili, le quali richiedono, per lunghe distanze, una sottocalza leggera. Se le Speedgoat avessero avuto la dimensione corretta, sarebbero state un'ottima combinazione. Invece, le scarpe con due calze del genere sono risultate troppo strette e i tasselli troppo consumati. Due numeri in più, una tassellatura nuova e magari sfoltire un paio di tasselli con un coltello, dovrebbero dare sul fango un appoggio simile a quello della Sportiva. Le Speedgoat, però, sono scarpe da pietra, bagnata o asciutta che sia, non da erba bagnata o fango pesante. Il problema è che nella Spine si passa da un estremo all'altro e trovare il giusto compromesso non è semplice, anche se il fango è la parte predominante.
Materiale di emergenza. Per il Bivy ho usato un modello della Salewa. È molto leggero e impermeabile anche se non l'ho mai usato. Si è costretti ad usarlo in caso di bivacco di emergenza per evacuazione, oppure anche in caso di pernottamento all'aperto. Il mio ritmo mi ha consentito di raggiungere i checkpoints nella notte, dove era possibile dormire. Chi, però, ha avuto un ritmo più veloce del mio, diciamo intorno alle 115/120 ore totali, è arrivato ai checkpoints di giorno e per dormire di notte doveva bivaccare fuori. In questi casi, o si usa la tenda, oppure si sacrificano le ore diurne al sonno.
Come stuoia ho portatola Thermarest NeoAir UberLight. L'ho usata al checkpoint 1.5 e 5 per dormire in terra, ma mai fuori. Molto leggera, sicuramente non ideale per l'inverno, ha lo svantaggio, non da poco, che per sgonfiarla ci vuole una vita e il volume iniziale lo prende dopo un mese. Fintanto che non viene usata, occupa veramente poco spazio nello zaino. Ha passato il controllo materiale pregara senza problemi. Sacco a pelo ho preso il Thermarest Hyperion 20 UL. C'è l'obbligo di un sacco a pelo certificato con confort almeno a zero gradi. Il mio modello è certificato a -6. L'ho usato per dormire nei checkpoint 1.5, 3 e 5. Nel checkpoint 1.5 mi sono svegliato in mezzo all'acqua, ma non ho sentito l'umidità e si è asciugato velocemente. Non so sia confortevole a -6, ma, per come l'ho usato, sono rimasto molto soddisfatto.
Completa la sezione il kit di pronto soccorso obbligatorio con benda, cerotti, disinfettante, telo di emergenza e pastiglie per la diarrea e allergia. Mai usati e mi sono trovato a disagio nel portare delle pastiglie.
Cibo e cucina. Il fornello è obbligatorio. Qui ho scelto un MSR WindBurner, che è si compatto e antivento, ma sempre abbastanza ingombrante e pesante. La cartuccia del gas l'ho comprata al controllo materiale. L'idea di tenere il fornello nel bagaglio a mano mi è costata, all'aeroporto, un controllo aggiuntivo e mezz'ora di fila in più. Alcuni hanno usato la cartuccia gas con il trepiedi, un cartoncino come antivento e la tazza in titanio. Il cucchiaio completa l'assetto. Comunque mai usati.
La scorta di 3000 calorie obbligatorie, invece, l'ho sottovalutata. C'è quest'obbligo per i checkpoint 1, 3 e 5. Ma sarebbe stato meglio, per me, ad ogni checkpoint. In più per il checkpoint 5 sarebbe stato meglio 3500/4000 calorie. Infatti dal checkpoint 5.5 le 3000 calorie se ne vanno come niente e da lì non c'è praticamente nulla da mangiare. Per le calorie ho usato le razioni di emergenza WPR-12 da 500 grammi (ormai introvabili, prezzo + 60% e consegne con tempi remoti) per 2500 calorie a pacco. Il resto delle calorie con biscotti e cioccolata. Ho portato anche dei gel, che, tranne appiccicarmi tutto il resto del materiale, non ho minimamente usato. I gel alla Spine non sono da includere nel bagaglio.
Acqua. Obbligatori sono due litri. Il vantaggio dello zaino Raidlight è che offre due ottime soft flask da 600cl che si possono usare al volo. Per completare la scorta, ho portato nello zaino un litro d'acqua nella soft flask Platypus, veramente ottima. Pensare di correre, e di raggiungere il checkpoint successivo con 2L di acqua, è per me molto velleitario. Se poi uno prende anche dei gel, che hanno bisogno di tant' acqua, sicuramente non si va molto lontani. Ci sono dei rifornimenti volanti d'acqua durante il percorso, il problema è che bisogna saperlo con precisione dove sono. Di giorno non mancano, mentre di notte sono rari. Tra il checkpoint 5.5 e il traguardo ho riempito le borracce al rifugio con acqua che mi hanno messo a disposizione i volontari. Vale a dire acqua dei rigagnoli della zona, filtrata con dispositivi manuali. Il colore dell'acqua filtrata? Un bel marrone.
Vestiario. In allenamento pre-gara (novembre e dicembre) ho cercato di usare sempre due strati, con la giacca in gorotex, che ho portato attaccata allo zaino cercando di capire dove meglio attaccarla. Nella Spine, invece, 4 strati sono stati lo standard. Su 138 ore di gara, la giacca in gorotex l'ho tolta solo per un'ora il lunedì a mezzogiorno. Di solito ho indossato cinque strati di notte, mentre nelle notti più fredde di martedì e venerdì, anche sei.
I pantaloni in gorotex, invece, sono stati fondamentali. Non li ho usati solo quando li ho dimenticati al checkpoint 4, ma sono dovuto tornare indietro a riprenderli. Impensabile, per me, non usarli e non ne ho visto un paio non rotti all'arrivo.
Per le calze ho sottovalutato la situazione. Scarpe in gorotex e calze impermeabili per me sono incompatibili in quanto il mio piede soffoca. Le calze impermeabili tengono, ma poi arrivano ad un punto che s'inzuppano troppo e vanno cambiate. Una volta ogni due giorni al massimo. La calza sottile sotto, invece, tutti i giorni. Con solo due paia di calze impermeabili e tre paia leggere, mi sono trovato alle strette. Calza normale e scarpa in gorotex, invece, non mi hanno convinto, anche se possono avere la loro logica in certe condizioni dove l'umidità non è eccessiva. Strato base con mutande e maglia a maniche lunghe della x-bionic (3 paia complete). Niente da dire, una garanzia.
Per i guanti ho sempre indossato tutto il giorno quelli da ciclista come strato base. Veramente comodi. Permettono di usare i bastoni sempre, e maneggiare senza problemi gps e mappe. Ho usato un copri guanto impermeabile e antivento della Salomon. Ottima funzionalità ma non ha tenuto tutta la gara. Il problema dei guanti da ciclista è che la punta delle dita sono esposte al vento e alla pioggia. Col passare dei giorni le dita si sono tutte tagliate in punta.
Per la notte, invece, guanti invernali tipo sci, fintanto che non li ho persi. Il prosieguo l'ho fatto con dei guanti in gorotex di riserva non adatti alla situazione, in quanto faticavo a metterli con le dita sempre bagnate.
Durante le prime notti traumatiche post gara, poi, mi sono svegliato d'improvviso in un bagno di sudore sentendo i guanti da ciclista addosso, come una seconda pelle, anche senza indossarli veramente.
Navigazione. Il gps è obbligatorio ed ho usato il mio vecchio Garmin Map60sx. Un modello che avrà una dozzina d'anni, che sembra uguale ai nuovi Map66, ma alla prova non lo è. Questo è stato un punto molto debole. Anche la maneggevolezza è importante, infatti il dispositivo deve essere sempre accessibile in qualsiasi condizione. In tasca, o peggio nello zaino, non è il posto giusto.
Alcuni ne avevano uno di riserva. Al checkpoint 5, infatti, viene controllato se il gps è ancora funzionante. Se non lo è la gara finisce lì.
Per le mappe cartacee ho usato quelle della guida "Pennine way" per un totale di 135 che, dopo averle tagliate dal libro, ho plastificato pagina per pagina. Non hanno passato il check del materiale obbligatorio e quindi ho portato anche quelle ufficiali in scala 1:40 000, che però sono riamaste sempre nello zaino.
Il problema principale delle mie mappe è che non sempre è stato facile trovare la posizione in modo corretto. Credevo di essere in un punto invece ero in altro e la navigazione ne ha risentito.
La bussola Silva Expedition completa il kit navigazione. Veramente ottima anche se l'ho usata molto poco.
Altro materiale. Per il coltello ho scelto il modello Light My Fire, per via dell'accendi fornello incorporato, anch'esso obbligatorio (un semplice accendino non andava bene). Scelta un po' ardita per via del peso e del volume. Il coltello, comunque, l'ho usato per aggiustare lo zaino al checkpoint 5 e il porta-mappe al checkpoint 4, non facendomi mancare anche un taglio alle dita. Occhiali da sci a visiera trasparente Uvex. Che poi non provengono dallo scompartimento sci, dove ho cercato invano, ma da quello antinfortunistica. Sembra che le visiere trasparenti non vengano usate nel mondo dello sci. Comunque ottimi e usati spesso, specialmente di notte. Una visiera oscurata non è assolutamente consigliabile. Orologio Tomtom con caricate tutte le mappe gpx della Spine. Mai usate. L'ho guardato solo di notte per vedere l'orario quando mi svegliavo al checkpoint. Mai ricaricato, con l'indicazione dell'ora che è rimasta attiva per tutta la gara. La navigazione con l'orologio è stata del tutto inutile. Telefono Nokia 1110. Al controllo materiale della partenza non aveva segnale, ma solo per un problema di campo. Infatti il segnale alla partenza è veramente molto basso. Batteria che ha tenuto tutta la gara senza problemi. I tasti consumati rendono difficoltosa la scrittura delle sms, gli unici messaggi disponibili su questo telefono. Mi sono aiutato con messaggi preimpostati per ogni evenienza. Credo di aver mandato quattro o cinque messaggi durante tutta la gara e non ho mai telefonato. Per me un gran vantaggio. Lampade frontali: tre. La Ay-Up, che uso di solito in tutte le altre gare, ha un'autonomia massima di 20 ore di utilizzo ininterrotto usando tre accumulatori (8+8+4). Tra l'entrata e l'uscita dal checkpoint, se non mi dimenticavo, riuscivo a caricare 2 accumulatori sufficienti per arrivare al checkpoint successivo. Altrimenti ho usato una Seo5 ed una imprecisata Petzl dello stesso livello, entrambe a 3 batterie AAA. Sia la Seo5 che la Petzl sono lampade che hanno un fascio di luce troppo debole per consentire una navigazione sicura e veloce nella notte. Con la Ay-Up, invece, nessun problema.
Come si vede, la lista del materiale della Spine è abbastanza impegnativa. Però è stato molto interessante costruirla passo passo nel tempo cercando di migliorarla dopo aver provato il materiale in allenamento. Ho fatto diversi errori di scelta, ma nel complesso, per un debuttante come me, non è andata affatto male.
Esco dall'ultimo checkpoint importante, il numero 5 di Bell'ham, che è ormai chiaro. Gli scolari, con le loro divise, aspettano il bus che li porterà a scuola ed osservano interessati un esemplare di essere adulto che, con bastoni e zaino, attraversa il paese.
Forse è bene che spieghi il perché ci abbia messo quasi dieci ore per uscire dal checkpoint.
Francis mi ha detto, prima di entrarvi, che ormai è impossibile finire la gara prima di venerdì. Il che vuol dire arrivare di notte, quando, invece, mi sarebbe piaciuto arrivare con le prime luci del mattino di sabato.
La classifica finale mostra che è andata diversamente, ma non è questo il punto. Mi sono svegliato e alzato, come in altre occasioni, dopo poche ore, ma per due occasioni ho deciso di tornare nel sacco a pelo a dormire. Troppo presto mi sono detto. Alla terza volta mi sono trovato da solo nella stanza e lì ho deciso di partire. Non prima di una doccia e colazione. Poi mi sono dimenticato di farmi la barba e sono tornato nel reparto docce per farla. Le scarpe Speedgoat si sono ridotte ad un colabrodo e con rammarico le ho gettate. Per usare le Sportiva ho prima tolto gli spikes. Una volta fuori, però, mi sono accorto che li ho tolti solo alla scarpa sinistra. Dietrofront e con l'aiuto di un volontario molto gentile abbiamo sistemato anche l'altra scarpa. Più che ad una gara, mi è sembrato di essere in un albergo dove ci si deve congedare ed è difficile partire. Ma non rimpiango la decisione di essermi fermato così a lungo. Il mio obbiettivo principale era quello di imparare a correre in una gara come la Spine e sapere se veramente fosse una competizione adatta alle mie caratteristiche.
Il venerdì mattina, ultimo giorno, è una giornata splendida con sole e senza vento. I bogs, o come si dice torbiere, in questa parte non presentano lastroni in granito, ma con la luce diurna sono abbastanza semplici da navigare. Anche perché la linea da seguire è pressoché diritta per chilometri e chilometri. In un bogs in una delle rare pinete, però, riesco a sprofondare fino alla coscia mettendomi in allarme ogni volta che devo passare in mezzo agli abeti.
Verso il checkpoint 5.5 di Byrness la strada diventa molto corribile e qui il mio zaino comincia a lacerarsi. La mia preoccupazione principale è che tenga almeno fino al controllo del checkpoint. Penso poi a come continuare se l'imbragatura dovesse rompersi completamente.
Al controllo di Byrness arrivo per l'ora di pranzo, il quale mi viene offerto da una gentile signora nell'abitazione dove si trova il checkpoint.
Dopo quaranta minuti mi dicono che devo uscire e, fuori, trovo Antonio, che era partito dal checkpoint 5 prima di me, che mi sta aspettando. Allora decido di stare assieme a lui fino al traguardo. So che il suo ritmo è più lento del mio, ma nel compenso lui conosce la zona, naviga senza errori e un po' di compagnia alla fine non fa male. In più, nella notte di martedì avevo approfittato molto della sua navigazione, quando ero senza un guanto, e mi sembra ora più corretto rimanere con lui.
Questo è il pezzo dei Cheviot. Una quarantina di chilometri in una zona selvaggia e montuosa al confine con la Scozia, che risulta impegnativa nella navigazione e rende un'eventuale evacuazione molto problematica. Quando arriva il buio la temperatura scende notevolmente e l'immancabile vento si presenta con la sua forza e costanza. Qui i pietroni di granito, che coprono le torbiere, cominciano a brinare aumentando il loro grado di scivolosità da 'alto' a 'caduta garantita'. Dove non ci sono lastroni, invece, è ancora peggio, in quanto il terreno, a volte, sprofonda in modo inaspettato. Mi capita in un punto dove mi sembra di calpestare un'innocua pozzanghera tra due lastroni, mentre invece sprofondo fino al torace. Antonio sente l'urlo e lo splash, si gira e si mette a ridere. Ora sono bagnato come un pulcino e col vento che tira non è così confortevole. Mi dico fino a quando non toccherò il muro finale a Kirk Yetholm la gara non è mai scontata e devo fare attenzione.
Passiamo gli ultimi due rifugi, dove ci preparano delle bevande calde con acqua filtrata dai rigagnoli della zona, senza altri problemi. Però è chiaro il rischio che si può incontrare in questi luoghi. Non mancano solo le strade dove possono arrivare dei mezzi a motore, ma anche elementi base come l'acqua. Se un elicottero non può volare per il vento, come è prassi da queste parti, l'unica alternativa è il soccorso di volontari a piedi in mezzo ai bogs.
Le ultime miglia, invece, scorrono tranquille. Niente più bogs ma terreni semplici. Sorprendentemente è in questo tratto che comincio ad avere dei forti dolori ai piedi. L'euforia dell'arrivo lascia spazio al dolore, che fino ad ora non avevo mai sentito.
Tocchiamo il muro di Kirk Yetholm alle 2:48 di sabato mattina ancora in piena notte.
Le sensazioni che provo all'arrivo sono molto strane. Niente euforia, solo una sensazione di vuoto che non riesco a spiegarmi.
Questa è anche la fine del mio viaggio da Edale a Kirk Yetholm lungo il percorso Pennine Way durato 5 giorni e 18 ore. Complimenti a chi è riuscito a leggere tutto il resoconto dall'inizio alla fine.
Per la cronaca la classifica finale si trova qui.
Per finire, l'opportunità di poter concludere un esperienza simile rimane, senza dubbio, un privilegio.
Lascio il checkpoint di Alston pieno di energia dopo una breve video intervista.
Già dall'inizio sento le gambe muoversi molto bene, però diverso dal solito. Dopo due chilometri realizzo questo "diverso dal solito": non ho indossato i pantaloni goretex, che ho dimenticato al checkpoint. Penso velocemente alle varie possibilità, ma non posso accettare la variante di arrivare fino al prossimo checkpoint senza quei pantaloni. Così mi tocca ritornare ad Alston e, con grande sorpresa degli addetti, spiego che ho dimenticato i pantaloni impermeabili. Me l'infilano nello zaino e via che riparto. I volontari dei checkpoints sono veramente un grande aiuto.
Dopo un paio di scivolate sull'erba bagnata, però, ritorno ad indossarli. Già l'idea di continuare senza mi sembra assurda.
In questo tratto privo di bogs riesco a correre con continuità attraversando diversi villaggi. A Knarsdale è ormai chiaro ed ho voglia di una bella colazione inglese. Lascio il percorso per seguire le indicazioni di un Hotel che purtroppo, quando mi ci trovo davanti, risulta chiuso. Altri chilometri per niente. Qui un tizio in bici mi affianca e mi dice che ho sbagliato strada. Lo ringrazio, ma spiego che ho fatto apposta per andare in un locale a mangiare. Mi dice che sulla via c'è una scatola che contiene degli snacks per i partecipanti della Spine. Vero, dopo qualche minuto raggiungo il contenitore e faccio scorta di biscotti e dolcetti.
Un rifornimento inatteso davvero gradito.
Ritrovo i cari bogs e, come sempre mi è successo fino ad ora su questo tipo di terreno, mi raggiungono da dietro. La navigazione in questi tratti è piena di trappole e non riesco a riprendere la via solitaria. Pian piano il nostro gruppo aumenta e in prossimità di Greenhead siamo già in cinque o sei. Faccio ora coppia con Francis, compagno del giorno precedente nella bufera di Dunn Fells.
In prossimità di Greenhead gli dico che provo a correre un po' e riparto in solitaria lasciando la compagnia. Qui non ci sono più bogs ma inizia il muro di Adriano. Dodici miglia a navigazione banale, infatti basta seguire il muro. Ci sono dei continui saliscendi, ma il terreno è ora duro e, anche se ogni tanto piove, viaggio molto bene.
All'improvviso compare un tizio che mi fa una video intervista e mi dice che ho raggiunto le 200 miglia. Wow dico, proprio non ci pensavo alle miglia percorse fino ad ora. Ma il numero duecento comincia a farmi fare delle previsioni per quando riuscirò ad arrivare al traguardo di Kirk Yetholm. Infatti, da qui, mancano solo 68 miglia.
Prima o poi bisogna lasciare il muro di Adriano, manufatto romano che la mia mappa inglese riporta che è stato eretto dai romani per difendersi dai barbari. Sorrido e mi chiedo chi siano questi barbari, come se sotto il muro ci siano state delle differenze per Roma. O è sottinteso che siano gli Scozzesi questi barbari? Chissà. Comunque riesco a sbagliare il punto in cui devo lasciare il muro per tornare a viaggiare nei bogs che mi separano dal quinto checkpoint di Bellingham, ultimo punto in cui ritroverò la mia borsa.
La navigazione in questi bogs è veramente problematica. Infatti non ci sono sentieri definiti e i pietroni di granito sono del tutto assenti. Fin tanto che c'è luce riesco ad orientarmi con i vari elementi in lontananza, tipo foresta o singola fattoria. Quando però arriva il momento di accendere la lampada è una catastrofe. Arriva il vento e mi sembra che la via da seguire sia sempre quella con più acqua e fango.
Bisogna provare per avere un'idea di come si possa avanzare in questo tratto.
In prossimità di una fattoria isolata, una gentile signora mi viene incontro con una lampada e mi ospita nella sua barchessa. Mi offre dolci e minestra e mi dice che quelli che mi seguono sono ad una ventina di minuti. Mi chiedo se vale la pena continuare di questo passo da solo con un margine così esiguo. Decido così di aspettare e di continuare verso il checkpoint al seguito di Francis e un altro socio.
Visto com'è la navigazione notturna in questo tratto, la scelta è stata ottima in quanto mai avrei tenuto il piccolo vantaggio da solo.
Francis commenta l'ultimo tratto di bogs con una frase tipo credevo già di aver visto il peggio nei giorni scorsi, ma in quest'ultimo tratto ho dovuto ricredermi.
In questi frangenti decido di abbandonare definitivamente la modalità gara in quanto voglio solo gustarmi i tratti che mi separano fino all'arrivo.
Arriviamo all'ultimo checkpoint dove possiamo ritrovare le nostre borse alle 21:47 di giovedì.
È arrivato il momento per una bella dormita, in terra col sacco a pelo all'interno del checkpoint.
Passato il villaggio di Thwaite, salutato il fotografo sotto una gran acqua e fatta l'amara scoperta di avere un solo guanto pesante, decido per una variazione del percorso, circa 1 Km, per una sosta ristoratrice a Keld.
In questo piccolo villaggio hanno allestito una sala in cui i viandanti possono prepararsi un caffè e mangiare una torta. Tutto in modalità self-service. Apprezzo molto e con le borracce di nuovo piene d'acqua riparto con uno spirito nuovo. All'imbrunire compare un po' di sole e un gentlemen inglese che, con stivali di gomma fino al ginocchio ed un setter al seguito sembra uscito dalla pubblicità di Barbour, dice di volermi accompagnare per un pezzo. Accetto molto volentieri la compagnia mentre mi guida nei bogs e mi racconta come sta andando la gara. Gara fino ad ora molto umida, ma le previsioni meteo da giovedì indicano bel tempo. Gli rispondo che non credo alle previsioni meteo, ma quello che viene lo accetto.
Al momento di accendere la lampada mi saluta e così proseguo di corsa verso Tan Hill Inn, il pub alla quota più alta in Inghilterra (528 slm). Qui il meteo è decisamente degenerato, acqua, neve e vento in quantità notevoli. Dentro al pub, però, c'è il clima di festa. Un tizio in ipotermia davanti al camino abbandona la gara e il mio amico giapponese che sta mangiando.
Dopo una veloce cena a base di chicken curry vorrei ripartire in compagnia. Ma nessuno sembra aver voglia di uscire di notte con un tempo del genere (-7 la temperatura percepita causa vento).
Così decido di rischiare una discesa veloce nel bogs innevato per cercare di raggiungere un gruppo che è uscito dal pub quando sono entrato. Dopo una mezz'ora, e un paio di innocue cadute, riesco nell'impresa di agganciarmi ad un terzetto che mi guiderà per tutta la notte fino al check point di Middleton.
Sfruttando la navigazione dei miei soci, in questo tratto veramente difficile, riesco a tenere la mano in tasca per sopperire la mancanza del guanto ed arrivo al checkpoint con un ottimo tempo.
Dopo tre ore di sosta riparto con i guanti di riserva e nuove scarpe. Sono stanco di scivolare ad ogni passo. La combinazione odierna è: scarpe Sportiva Uragano in goretex, calze resistenti all'acqua e spikes.
Il cambio di scarpe, però, non è una grande idea. Gli spikes sul terreno roccioso alla lunga si fanno sentire nella suola e il piede, con tutta questa protezione, respira male. L'assetto usato fino ad ora, invece, è stato: Hoka Speedgoat con tasselli non proprio nuovi (Adamello e WRU), tomaia che presenta i primi buchi e calze resistenti all'acqua.
La giornata odierna di mercoledì è caratterizzata dal vento contrario. La prima diversione di giornata causa fango mi fa finire in una fattoria dove il padrone, dopo essersi svegliato nel cuore della notte, mi fa notare che ho sbagliato strada. Ringrazio più che altro che non mi abbia sparato. Scavalco tutti i suoi cancelli rigorosamente chiusi e muri con tanto di filo spinato che mi separano dalla traccia gps, che ho lasciato per seguire la diversione ufficiale.
Con gli occhiali da sci ed un timido sole proseguo per tutta la giornata al passo. In teoria potrei correre, ma il forte vento contrario mi fa propendere per la calma. Il panorama lungo questo tratto è davvero molto affascinante, specialmente il passaggio a High Cup Nick.
Arrivo al controllo di Dufton che è ora di pranzo e in un caffè ordino quello che c'è, vale a dire una colazione all'inglese. Faccio notare che non è più ora di colazione, ma mi dicono che si può mangiare per tutto il giorno. Comunque squisita. Dal paese si nota il centro studi, punto in cui presto dovrò passare, totalmente immerso nella neve. Lì si trova anche il punto più alto di tutto il percorso, vale a dire Cross Fell a 893 metri. Faccio vedere il mio sacco a pelo al controllo materiale, così mi tocca svuotare tutto lo zaino.
Parto con grande slancio per sfruttare più possibile la luce del giorno e quando raggiungo la neve la navigazione diventa finalmente banale. Infatti, anche nel buio, basta seguire le tracce che hanno lasciato quelli che sono passati prima. Qui, forse, trovo anche un senso alla scelta di usare gli spikes. Così dopo essermi spaccato la suola dei piedi sulle rocce per tutto il giorno, cerco di essere contento di non aver perso un paio di secondi per tirare fuori i ramponcini dallo zaino.
Scelta che però poi rimpiango, quando a Dunn Fell un vento laterale micidiale mi fa volare via la protezione dello zaino, cancella di colpo tutte le tracce come se fosse una lavagna bianca e mi blocca sui miei bastoni. A questo punto Francis, il mio socio francese che mi seguiva, mi affianca, mi copre dal vento e col suo GPS prende in mano la navigazione. Io non stacco le mani dai bastoni piantati nella neve, mi sembra di volare via e non riesco più a stare davanti. Qui trovo anche un dispositivo GPS in terra, confermandomi di quanto sia difficile stare in piedi cercando di usarlo.
Per fortuna il vento micidiale è solo in quel punto e, passato quello, la via ritorna quasi normale con le tracce nella neve che tornano a riapparire.
Arriviamo al rifugio Greg's Hut. Ci accoglie con le luci delle sue candele e del mitico Barba, che ci prepara una ottima pasta con chili sul fuoco del camino. Raccontiamo un po' delle difficoltà incontrate a Dunn Fell e del GPS ritrovato. Il Barba se la ride, come dire che se mi aspettavo una gara tipo vasca in viale Ceccarini, mi sono sbagliato di grosso. Ci dice anche, che almeno fino al checkpoint di Alston è tutta discesa facile.
Lì posso anche riconsegnare il GPS che ho trovato e consentire il prosieguo di chi l'ha perso. Infatti al check point 5 non si può continuare senza GPS, il che significa ritiro per il malcapitato, sempre che non abbia un dispositivo di riserva.
Nella decantata facile discesa, purtroppo, non riesco ad andare per colpa degli spikes che mi fanno male ai piedi.
Al paese successivo una signora mi accoglie come "Mr. Crocodile Dundee" e mi fa entrare nella sua casa. Le dico che sono tutto coperto di fango e che gli spikes nelle scarpe gli rovinano il pavimento. Poi preciso che non vengo dall'Australia, come indicato nel live, ma dall'Austria. Dice fa lo stesso e mi offre un ottimo rinfresco. Lascio la simpatica compagnia e arrivo al check point di Alston appena dopo la mezzanotte.
Consegno il GPS che ho trovato e, dopo quattro ore di letto e doccia rigenerante, sono pronto a ripartire.
L'entusiasmo è forte, perché è in questo tratto che avevo pianificato di accelerare il ritmo e finalmente è arrivato il momento. È giovedì mattina.