Se c'è un argomento sul quale non si può discutere nella corsa è il tempo che detta il cronometro. Tre ore e venti per correre una maratona, trentacinque ore e cinquantatré per una cento miglia sono quantità ben definite e inopinabili. Oppure no?
Nel film Interstellar, le tre ore passate dagli astronauti su di un pianeta equivalgono a ventitré anni per il collega che li aspettava nella stazione spaziale. Differenze di tempo giustificate dalle leggi fisiche sulla relatività.
Mi chiedevo se qualcosa di simile possa accadere anche in corsa, vale a dire se il tempo percepito in gara sia diverso da quello misurato con l'orologio, che poi è lo stesso di quelli che aspettano all'arrivo. Questo non lo so dire, anche se la fisica, visto il quadro, non lascia nessuna possibilità. Ma siccome nelle ultime gare non ho mai portato l'orologio, quasi mi vien da dire che il tempo in gara, specialmente se è lunga, possa scorrere in modo diverso da quello misurato dall'orologio, che poi è una delle caratteristiche che più apprezzo nelle ultra. Guardare l'ora è come stare dalla parte di quelli che sono fuori a fare da spettatori, un altro mondo. Ma se nella corsa il tempo scorre in modo diverso, che senso può avere la ricerca costante dell'abbassare il tempo assoluto che si rimane in gara?
Correre e pensare al tempo, che non so bene cosa sia, ma di sicuro non è quel numero che compare sul quadrante dell'orologio.
domenica, dicembre 21, 2014
domenica, dicembre 14, 2014
Comincio a fare programmi
Rimango sempre piacevolmente stupito quando vedo che la passione di molti maratoneti li spinge a pianificare in ogni dettaglio i propri allenamenti finalizzati ad tempo finale, possibilmente migliore di quello ottenuto in precedenza. Mi chiedevo, invece, se quello che corre per solo divertimento debba comportarsi in questo modo. Se giocassi a scacchi, come potrei divertirmi se tralasciassi tutti gli studi teorici che riguardano le diverse fasi della partita. E se fossi un giocatore di bridge? Allo sbaraglio combinerei ben poco e così anche il divertimento sarebbe merce rara.
Il prossimo 2015 correrò sicuramente la maratona di Vienna, non sarebbe il caso di affrontarla con una preparazione sistematica per cercare di abbassare il 3h:20' che è il mio personale sulla distanza? Obbiettivo fissato e, in caso di risultato, divertimento assicurato. O no?
Intanto ho ancora qualche settimana a disposizione prima che il nuovo anno arrivi carico di buoni propositi e grandi obbiettivi, per dedicarmi ad un altro aspetto della corsa nel quale sono veramente carente, vale a dire la discesa molto tecnica. Quindi di questi tempi è facile vedermi a correre su e giù a tutta lungo terrapieni verticali per cercare di imparare come mettere i piedi.
Tornando all'obbiettivo maratona, cercando di capire a quale ritmo devo correre il lungo lento e quanti secondi devo lasciare tra una ripetuta e l'altra, ho cercato un po' d'ispirazione in questo video.
Il prossimo 2015 correrò sicuramente la maratona di Vienna, non sarebbe il caso di affrontarla con una preparazione sistematica per cercare di abbassare il 3h:20' che è il mio personale sulla distanza? Obbiettivo fissato e, in caso di risultato, divertimento assicurato. O no?
Intanto ho ancora qualche settimana a disposizione prima che il nuovo anno arrivi carico di buoni propositi e grandi obbiettivi, per dedicarmi ad un altro aspetto della corsa nel quale sono veramente carente, vale a dire la discesa molto tecnica. Quindi di questi tempi è facile vedermi a correre su e giù a tutta lungo terrapieni verticali per cercare di imparare come mettere i piedi.
Tornando all'obbiettivo maratona, cercando di capire a quale ritmo devo correre il lungo lento e quanti secondi devo lasciare tra una ripetuta e l'altra, ho cercato un po' d'ispirazione in questo video.
lunedì, dicembre 01, 2014
Ripartenza
Dopo qualche settimana di assoluto riposo ho ricominciato a correre. Nessun manuale della corsa consiglia di riprendere con una gara come prima seduta, ma ho voluto lo stesso sperimentare cosa voglia dire gareggiare sui dieci chilometri senza allenamento. L'ho fatto nella gara di beneficenza organizzata dai FdL. Rispetto agli anni passati, la prestazione cronometrica è stata la più scadente (41':20"), ma se qualcuno mi vuol raccontare che è solo con le ripetute e le sedute veloci che si fanno i risultati sui diecimila, gli posso candidamente rispondere che con le mie sedute alternative di telecomando e tastiere di computer, ho perso solo 36 secondi rispetto al 2013, dove mi ero allenato come un matto con sedute veloci.
Il senso dell'allenamento, però, l'ho riscoperto i giorni successivi, dove un blocco pesante di entrambi i polpacci, qui a Vienna direbbero un Megakater, mi ha reso claudicante per quattro giorni.
Chissà cosa ne pensano gli evoluzionisti che mi raccontano che sono nato per correre, che dopo solo quarantuno minuti di corsa mi tocca stare fermo una settimana. L'uomo delle caverne che si faceva un bel cinghialone alla brace e se lo scorpacciava per tre settimane, non è che poi avesse tante cartucce da sparare. Avesse ripreso con un giro di tre quarti d'ora correndo a manetta dietro a qualche gazzella senza però prenderla, avrebbe voluto dire una settimana di digiuno forzato da selvaggina. Poteva solo sperare di recuperare almeno la camminata per andare a trovare qualche ortica da bollire. E la cucina vegana sarebbe stata la logica conclusione, che però ora si vanta di essere la migliore nel supportare la corsa.
Ma non era più semplice quando per divertirsi e rilassarsi si andava in cuperativa a giocare a carte, invece di girare in tondo per cercare di realizzare i propri obiettivi?
Il senso dell'allenamento, però, l'ho riscoperto i giorni successivi, dove un blocco pesante di entrambi i polpacci, qui a Vienna direbbero un Megakater, mi ha reso claudicante per quattro giorni.
Chissà cosa ne pensano gli evoluzionisti che mi raccontano che sono nato per correre, che dopo solo quarantuno minuti di corsa mi tocca stare fermo una settimana. L'uomo delle caverne che si faceva un bel cinghialone alla brace e se lo scorpacciava per tre settimane, non è che poi avesse tante cartucce da sparare. Avesse ripreso con un giro di tre quarti d'ora correndo a manetta dietro a qualche gazzella senza però prenderla, avrebbe voluto dire una settimana di digiuno forzato da selvaggina. Poteva solo sperare di recuperare almeno la camminata per andare a trovare qualche ortica da bollire. E la cucina vegana sarebbe stata la logica conclusione, che però ora si vanta di essere la migliore nel supportare la corsa.
Ma non era più semplice quando per divertirsi e rilassarsi si andava in cuperativa a giocare a carte, invece di girare in tondo per cercare di realizzare i propri obiettivi?
domenica, novembre 16, 2014
Fine stagione 2014
In inverno avevo un'ottima condizione, che però non sono riuscito a portare fino alla maratona di Vienna. In quei mesi ho usato il classico metodo di allenamento tabellare finalizzato alla massima prestazione cronometrica. Il mio fisico non ha gradito e si è infortunato. È stata la mia unica maratona della stagione.
Dopo una doverosa pausa per calmare del tutto la tendinite al piede destro, dove in quella sosta ho anche mestamente rimandato il via alla gara Mozart100, sono ripartito partecipando solo a gare corte in montagna, cambiando decisamente tipo di preparazione.
In giugno, dopo aver debuttato nel duathlon, sono ritornato a Veitsch (54km - 2200 D+). Lì ho svolto una sorta di prova generale per la gara DirndltalExtreme (111km - 5000D+), la competizione alla quale tenevo di più quest'anno. In entrambe ho ottenuto risultati veramente inaspettati. Il DirndltalExtreme mi ha richiesto un dispendio notevole di energie fisiche e mentali ed ho impiegato qualche settimana per cominciare a pensare al Magredi MMT100 (160km - 7700D+). Sopratutto ho dovuto cambiare molto a livello di materiale, scarpe e bastoni fra tutti. Tra le due competizioni ci sono state 8 settimane, metà le ho impiegate per recuperare, le ultime due sono state di scarico e il resto di allenamento. Al MMT100 ho cercato di capire cosa volesse dire essere in gara tutta la notte, il giorno e ancora un'altra notte, ma ho anche dovuto prendere atto che il livello tecnico del percorso era superiore alle mie capacità. Nondimeno, però, stare fuori quasi trentasei ore su terreni aspri senza mai dormire e finire in scioltezza è stata un' esperienza incredibile. L'ultimo ultra trail stagionale quattro settimane dopo qui a Vienna. Nonostante le difficoltà di percorso incontrate e un fisico che, alla vigilia, iniziava ad essere un po' stanco, a farmi arrivare in fondo così bene è stato più che altro l'entusiasmo.
Ora, in un ottimo stato psicofisico, qualche settimana di pausa dalla corsa, mentre un sommario stagionale si trova qui.
domenica, novembre 02, 2014
Wien Rundumadum, ultra trail sottocasa
Navigazione fatta in casa, basta per non perdersi nella nebbia? |
Al traguardo |
Foto con medaglia e bottiglia |
Dettaglio
Vediamo allora come è stato questo ultra trail intorno a Vienna, che era alla sua prima edizione. Dopo una sveglia ad un orario veramente indecente, mi sono avviato alla partenza, dall'altra parte della città, con la consolidata coppia bici e metropolitana. Qui ho incontrato quello che è rimasto della festa di Halloween, ma in una grande città tutto è possibile sul treno alle cinque del mattino, dal tizio che si presenta ad un ultra trail, a quello che gli scoppia la testa, a quello che vestito in kimono guarda cartoni giapponesi alternativi sul cellulare. Mondi paralleli con in comune solo la poca normalità.
La partenza e l'arrivo del "Rundumadum" sono stati collocati in una palestra, qui ho incontrato molte facce conosciute e tutti gli altri del mio gruppo sportivo. La prima novità l'ho scoperta al breefing pre gara, quello che di solito si partecipa ma non si ascolta, vale a dire che in un tratto finale in mezzo alla campagna non è stata messa la segnalazione sul percorso. Perché? Il proprietario non ha voluto. "Wien ist anders" questo è il motto della città, "Vienna è diversa" e anche nel marcamento del percorso non si è smentita. Questo trail è stato il mio terzo centone in tre mesi, che cosa potevo chiedere ad una gara del genere? Finire in un tempo tot perché ho fatto una preparazione tot? L'ultimo allenamento più lungo di due ore, che non sia stato una gara, l'ho fatto due mesi fa. Ma per fortuna a me non serviva la tabella degli allenamenti mancati, ma solo stare bene alla partenza. Entusiasti siamo partiti alle sette con una leggera nebbia che stava lasciando il posto al sole. Dopo qualche chilometro in riva al canale Marchfeldkanal, ho affrontato la prima salita vera, quella del "Nase", tosta ma breve. Vienna è piena di gente che millanta tempi di salita impossibili, ma non sono stato purtroppo tra questi in quanto è stata la prima volta che l'ho affrontata. Dopo è arrivata una parte molto piena di saliscendi nel bosco viennese. Anche in gruppo, non sempre è stato facile non perdersi. Qui è apparso il primo dei cinque ristori previsti, che non erano molti ma prelibati. Verso il km 40 mi sono trovato da solo e qui ho deciso di cambiare marcia. Era il pezzo del Lainzer Tiergarden, quello dove lo scorso anno vi ho corso l'ultima edizione del leggendario omonimo trail. Finito questo tratto con qualche bella rampa tosta e sempre su bei sentieri, sono arrivato nella zona Liesing, il fiume che scorre davanti a casa mia. Qui trovare la strada prevista è stato abbastanza problematico, ma non potevo perdermi qui. Risolti i problemi di pesantezza al checkpoint successivo nel parco del Wienerfeld, sono arrivato sull'isola sul Danubio dopo essere passato davanti al cimitero e sulle colline di casa di Oberlaa, prima che si è fatto buio. Qui è iniziata un'altra corsa, quella alla ricerca della via che mi doveva portare fuori dal bosco della Lobau pieno di sentieri sconosciuti e poche indicazioni. Ho trovato la scia di un corridore con bici al seguito che gli faceva da apri pista col gps. Ma questa cuccagna è finita presto e mi sono trovato da solo nel buio e nella nebbia. Qui un fantomatico ciclista, penso sia stato reale, è apparso e mi ha guidato fino al successivo ristoro. Ora avevo davanti solo gli ultimi trenta chilometri che ho affrontato con la cartina del percorso in mano. Una volta arrivato, sempre in solitaria, al famigerato campo senza cartelli e vie, non ho potuto far altro che costatare di essermi perso. Sulla carta era mostrato un piccolo bosco davanti su una strada curva e invece ero su una carraia dritta in mezzo ad un campo di fragole, immerso in un nebbione padano che non si vedeva a venti metri. Scartata l'idea di sedermi a piangere, ho estratto il mio GPS e, come da manuale, mai veramente usato prima per navigare, ho cercato di tornare sulla retta via. Risultato: mezz'ora di avanti e indietro, schermo appannato che non si vedeva nulla, ma come per magia sono rientrato sul percorso segnato. Qui ho incontrato due corridori erranti, dove uno, una faccia conosciuta, avrei scommesso, vista l'ora, che avesse già tagliato il traguardo. In tre, però, è stato un gioco da ragazzi trovare la strada e, con le dovute pause, siamo arrivati alla fine appena prima delle 22:30. Abbiamo avuto anche l'onore di ricevere la medaglia d'oro per quelli che sono rimasti sotto le diciotto ore, nonché la bottiglia di vino con l'etichetta "Wien Rundumadum", cimelio per tutti quelli che sono arrivati in fondo. Su 105 partenti, ben quaranta hanno gettato la spugna prima del traguardo rinunciando di fatto al prestigioso nettare.
Conclusioni. "Wien Rundumadum" è un ultra trail con poco dislivello, poco asfalto, ristori non fitti, in data più che autunnale e segnaletica minimale. Probabilmente l'unica possibilità per correre una gara del genere attorno a Vienna. Il minimalismo è stato un altro modo per rendere la gara un po' più impegnativa che alla fine ho apprezzato. La traccia del percorso è qui.
Cambio vestiti a metà percorso VS3 |
Segnali lungo il percorso |
Isola sul Danubio - Inizio |
Fine "Nase", Checkpoint 1 |
domenica, ottobre 12, 2014
E ora?
Campagna di Oberlaa, circa a metà percorso |
lunedì, ottobre 06, 2014
Magredi, debutto nella gara da cento miglia
Vendo scarpe, usate una sola volta |
Per percorrere tutti i 158,1 chilometri previsti dall'organizzazione e 7700m di D+ ho impiegato un tempo di 35 ore 53 minuti e zero secondi di sonno, conquistando la 52-ema posizione finale. Dei 158 partenti, l'elenco dei corridori che hanno raggiunto il traguardo si trova qui.
Si parte
Finalmente è arrivato il giorno della partenza. Helmut col suo bus VW classe ottantotto mi chiama poco prima delle 7 e mi dice che tra un attimo passerà a prendermi. Destinazione non Woodstock ma, inutile dirlo, il Friuli Venezia Giulia dove entrambi debutteremo in una gara da cento miglia. La giornata coi suoi colori autunnali è splendida mentre la nebbia, man mano che scorrono i chilometri, cede il passo al sole. La strada vola via veloce e, tra uno scambio di esperienze di questa o quella corsa, il casello autostradale di Gemona arriva in un attimo. La campagna e i campi di mais mi riportano alle origini di uomo della bassa pianura, mentre accendono non pochi dubbi negli occhi del mio autista austriaco. "Ma dove sono le montagne?" mi chiede e gli rispondo "guarda quanti prosciuttifici ci sono in questo paese". Arriviamo da Gelindo, l'agriturismo di Vivaro, che ai tavoli del ristorante stanno già sparecchiando. "Se volete una pasta mettevi comodi e intanto che aperitivo volete?" ci dice il titolare. Veramente volevano solo sapere dove potevamo piantare la tenda, ma siamo già qui e non possiamo certo rifiutare l'invito. Con la pancia piena e un'ora di bella tavola alle spalle, provo a mettere un po' d'ordine nel materiale che mi servirà al via della gara. Ritiro pettorale, controllo zaino tutto in ordine, consegno le sacche che ritroverò alle basi vita. Seduto in terra con un foglio in mano, provo a leggere le istruzioni per montare la tenda. Helmut prima mi fa una foto, poi mosso da compassione me la monta in cinque minuti. Chissà se la userò davvero, il tempo limite della MMT 100 è fissato per le 15 di domenica, un orario dove dovrei già essere in autostrada sulla via del ritorno. Al breefing pregara sembra tutto facile e i punti segnati in rosso entrano in un orecchio per uscire subito dall'altro. Al nastro di partenza mi metto in fondo, ma questo non impedisce ad un gruppo di chiedermi se sono io quello che ha vinto la gara lo scorso anno. Per carità, sono un debuttante, però lo scambio mi fa piacere, vuol dire che almeno potrei sembrare uno che vince.
La gara inizia
Non ho ancora sistemato bene promettenti gels comprati all'ultimo minuto e mai testati come da manuale, che viene dato il via. Sono le 18 e qualcosa e il sole si avvia a tramontare. Alla prima curva comincio già a perdere i gels, ma il servizio scopa mi aiuta a raccoglierli. Simpatici questi ragazzi del servizio scopa, quattro corridori in coda che cercano di alleviare la solitudine dell'ultimo viandante. Approfitto a mani basse e mi faccio raccontare tutto su quello che mi circonda perché dove sto correndo è un paesaggio davvero unico. Dal mais ai vigneti, dal Tocai che ora si chiama Friulano al dialetto locale che viene ancora usato spesso. Mi consigliano di accelerare il passo se voglio arrivare in tempo al primo cancello orario e così comincio a risalire qualche posizione. Ad un certo punto trovo due persone legate con una corda, non riesco a crederci, un cieco con un accompagnatore sta correndo questo ultra trail. Il bello è che mentre parliamo, sarò inciampato almeno un paio di volte mentre lui niente. Gli chiedo come fa e lui mi risponde che è perché io non melo aspetto di inciampare, mentre lui sempre. Saluto e con la lampada frontale accesa passo avanti. Attraverso il secco letto del fiume Cellina, una bella pietraia spaccapiedi e al primo ristoro incontro Dieter. Un simpatico personaggio che ha già corso la MMT lo scorso anno, tenta di farmi qualche domanda sulla mia professione, ma lo dirotto subito sul racconto di qualche ultra precedente. Quando mi dice che come me non porta l'orologio e ha partecipato ad una gara come la WIBO, lo eleggo a mio personale eroe.
La prima notte
Comincia la prima vera salita e dalle distese di sassi si passa a sentieri stretti ed esposti. Sono in un ultra trail, ma ora sto correndo come una corsa in montagna da quattro chilometri. Dieter procede del suo passo tranquillo mentre raggiungo una lunga fila indiana alla quale mi accodo. Mi ha parlato molto della seconda notte, ma, pur non avendo nessuna ambizione in termini di tempo finale, non riesco proprio ad immaginarmi che dovrò affrontare due notti. Passo il ristoro gestito dagli alpini col morale alto, ormai la prossima tappa sarà la meta della prima delle quattro basi vita nelle quali ho suddiviso il percorso. Prima di raggiungere Piancavallo però, devo affrontare lunghi sentieri stretti con sali e scendi esposti, terreno che francamente faccio fatica a digerire. Per fortuna sono con un gruppo che conosce la strada e procede con ottimo passo. Prima di lasciarmi andare al buffet stile "all you can eat" del ristoro della famosa stazione sciistica, c'è tempo anche per un giro di presentazioni. Riparto nello stesso gruppo ma quando cominciano le discese ripide e tecniche non riesco più ad andare. Sono alla prima gara coi bastoni, ma quando li uso per controllare la discesa, cado all'indietro. Lascio andare messaggi telepatici cercando, invece, di trattenermi in un diplomatico no comment quando un altro trailer mi chiede com'è questa discesa che mi dovrebbe condurre al lago Barcis in uno stato tutto da definire. Altra caduta, altri messaggi telepatici. Messaggi che poi verranno trasformati in voce udibile qualche ora dopo nella cucina del ristoro di Pofabbro. Chi ha mangiato lì una pasta verso mezzogiorno, può intuire quale fosse la natura di questi messaggi. Finalmente arrivo in solitaria al lago Barcis e non so il perché, ma sono convinto che qui ci deve essere un ristoro. Vedo le tracce del percorso che mi mandano sul sentiero del Dint e decido di seguirle mestamente. Ho letto, qualche giorno prima, che questo sentiero è molto battuto dagli escursionisti, così, finalmente, mi dico ecco un sentiero senza burroni, pietraie o discese da uomo ragno dove un uomo della città come me, può lasciare andare un po' le gambe senza paura. Invece, senza nessun preavviso, la mia lampada frontale si spegne di colpo e mi lascia in un buio terrificante in mezzo al bosco. Devo cambiare l'accumulatore, ma chi lo trova quello di scorta nello zaino con questo buio? In qualche modo, passando dalla lampada di riserva, riesco nell'operazione e, sempre col dubbio di aver saltato un ristoro, raggiungo l'edificio della stazione di Andreis. La voglia di farmi un paio di grappe è tanta, ma vorrebbe dire la fine, allora, dopo un ottimo spuntino, saluto e riprendo il cammino con la certezza di essere passato per la giusta strada. Ora è notte fonda, il morale non è alto ma il profilo del percorso sembra aprire spazio a qualche possibilità per continuare. Non è tanto la salita che mi deprime, ma è la discesa. In salita devo gestirmi c'è troppa strada da fare per poter solo pensare di correrle, ma quando poi arriva la discesa mi trovo davanti a dei sentieri che mi bloccano. E così mi capita anche in questo pezzo e in tutti i pezzi di discesa successivi fino a Casera Valine Alte. Non mi sto proprio divertendo, sembra di essere ad una gara di nordic walking e penso seriamente che questo tipo di sentieri siano troppo difficili per il mio livello. Le ore passano, la stanchezza aumenta e nulla cambia tranne la notte che sta per finire.
Il nuovo giorno
Abbandonare? È questa la domanda che mi pone Patrice quando lo incrocio qualche ora dopo al ristoro di Pofabbro, ma questa non è opzione è stata la risposta che gli ho dato. Che cosa mi ha fatto cambiare idea così? Semplicemente la notte è finita, i sentieri di pietre anche, e il piccolo pezzo asfaltato in discesa fatto a tutta con la lampada frontale ormai spenta mi hanno elettrizzato. Entro nel ristoro di Maniago grosso modo alle sette di mattina e chiedo dov'è la musica. Ho una fame da lupi, non mi fa male nulla e non ho sonno. Provo anche a miracolare due abbattuti corridori che hanno dei dolori che non li fanno neanche camminare, ma come guaritore valgo nulla e Maniago sarà per loro la stazione finale. Con la carica del nuovo giorno affronto la salita successiva, con annessa discesa, non con un gran ritmo, ma con buona sicurezza. Ora sono in scia ad un veterano di questa gara che mi guida, e anche mi aspetta, fino al ristoro di metà gara situato a Pofabbro. Secondo il rilevamento cronometrico, impiego 16h:27' reali per percorrere i primi ottanta chilometri, tempo percepito, invece, due giorni. Ma oggi non è giornata da giri intondo col tempomat, così dopo un ottimo pranzo in base vita, ringrazio e proseguo il mio cammino. Passato indenne l'abbiocco post digestivo che quasi mi addormentava, ritrovo percorsi, come una forestale piatta o asfalto in paese, che mi danno fiducia, tanto che al ristoro di Fanna mi concedo un vinello. Verso Casasola un'altra crisi d'identità, appena pensavo di essere finalmente entrato in gara ecco che devo smettere di correre. Lentamente arrivo al paese e approfitto della fontana in piazza piena di acqua fresca per un bagno tonificante agli arti inferiori. Sono a Casasola e, dopo il ristoro, inizia il pezzo più duro di tutta la gara. Mi chiedono se non ho corso già lo scorso anno, rispondo di no, ma che non è la prima volta che mi scambiano per qualcun altro. Non so se sia stato il ristoro, la fontana, la musica che ho appena acceso o la bellezza della montagna, ma approccio la salita del monte Raut veramente convinto. In cresta e in discesa verso Casera Valine sono ancora di gesso, ma i pensieri di abbandono sono definitivamente interrati. Per la cronaca, ho impiegato più di tre ore per un tratto dato sulla carta di una lunghezza di soli 5,4 km. Nella casera il gestore, tra un uovo sodo e un brodo, mi consiglia di dormire alla prossima base vita e di riprendere con calma con la luce del sole. Gli rispondo che non ho ancora dormito un solo secondo e che intendo continuare così, una sfida che mi affascina. Saluto e proseguo il cammino in discesa col solito ritmo rassegnato mentre è arrivato il momento di riaccendere la lampada frontale.
La seconda notte
Qui qualcosa nella mia mente deve essere successo, perché dopo venticinque ore di gara comincio a correre senza paura in discesa, smetto di usare i bastoni, come mi aveva consigliato Helmut, e provo a scendere a tutta. Recupero man mano posizioni poi quando arriva il tratto in falsopiano e asfaltato passo alla corsa decisa. Ritmo che non mollo e non voglio mollare, mancano almeno dieci ore all'arrivo, ma corro con la rabbia di una mezza maratona. Arrivano le gallerie, nella prima indosso la giacca impermeabile ma appena finisce la tolgo con l'idea di avere indossato un indumento inutile. Arriva la seconda e mi rifiuto di indossarla di nuovo, così mi ritrovo in mezzo ad una galleria dove piove a dirotto. Bagnato ma tranquillo, raggiungo in solitaria il ristoro sulla diga. Chiedo in dono ancora un po' di strada asfaltata, ma il gestore del ristoro mi risponde che ora comincia un bel sentiero in single track di una decina di chilometri prima di arrivare alla terza base vita. Poi mi porge un tè caldo. Ringrazio e riprendo lungo il sentiero. Vado a tutta cercando di correre sempre e mi chiedo, per l'ennesima volta, perché ci riesco solo ora. Appena prima della base vita ritrovo Dieter che col suo passo costante da ultra navigato mi aveva raggiunto e staccato nettamente. Mi dice che alla base vita dormirà un'oretta per arrivare bene al traguardo, gli rispondo che non sento assolutamente la stanchezza e vorrei continuare ad andare a tutta. Pienamente rifocillato alla base vita, dopo 29 ore di gara, sempre senza sonno, mi aspetto prima o poi una crisi, che però non arriva. Se capita, mi consiglia il gestore del ristoro, stai in piedi e abbraccia una pianta. Ringrazio del consiglio e riprendo il cammino. In questo tratto è la vegetazione a farla da padrone. Sul lato della strada potrei giurare di aver visto un gruppo di gnomi che se la ridevano di gusto, prima di trasformarsi in foglie quando li ho affiancati. Allucinazioni? E cosa dovrei dire di quelli che raccontano, me compreso, che dopo trenta ore di corsa, al ristoro dicono di vedersi serviti un piatto di pasta fumante dal vincitore della Spartathlon della settimana scorsa?
Affronto l'ultima salita ad un ritmo blando fino a quando non intravedo una lampada che corre in salita. Allora provo a tornare ancora al ritmo precedente la sosta e, complice una bella strada sterrata piatta, ritrovo un ottimo passo. Qui finisco anche la mia seconda carica della lampada frontale e devo passare a quella di riserva. La discesa fino a Borgo del Bianco non è un gran problema e quando appaiono le prime case del paese vengo bloccato da una signora che mi invita ad entrare nelle sede del ristoro.
Dopo un ottimo spuntino con bevuta saluto la simpatica compagnia e scendo verso Colle, prima però devo passare in mezzo al fiume Meduna ritrovando le solite pietre e qualche passaggio in mezzo ai rovi. A volte mi viene il dubbio che si voglia quasi infierire con la durezza del percorso. A Colle c'è l'ultimo ristoro della gara, qui raggiungo due corridori che sono in procinto di ripartire. Non mi danno l'impressione della massima freschezza e mi sembra che cammineranno fino all'arrivo. Allora la prendo comoda e, tra una bevanda e l'altra, faccio i miei complimenti per come è stato segnato il percorso. Anche qui mi chiedono se non sono quello che ha vinto lo scorso anno, ma qui citando l'ora attuale del passaggio ho un argomento decisivo che convince tutti del contrario. Ringrazio della cordialità prestata e riparto verso il greto del fiume.
Dopo pochi minuti ritrovo i due corridori di prima che cercano la via verso Vivaro. Li conforto dicendo che siamo sulla giusta via e vado avanti sempre di corsa. Gli ultimi chilometri scorrono in un attimo e quando vedo il campanile di Vivaro capisco che la mia gara sta per volgere al termine. Una grande emozione mi assale prima della foto e di ricevere la giacca. Mi chiedono se sto bene, rispondo che certo mai stato meglio e subito dopo suonano le sei.
Il ritorno
Mi sono seduto a quindici ristori senza mai nessun problema, a quello dell'arrivo, invece, appena finisco la minestra quasi mi addormento sul tavolo, a fatica riesco a salutare due soci incontrati spesso lungo il percorso e quando mi alzo ho le gambe bloccate. Mi piacerebbe sapere dove si trova l'interruttore che accende e spegne il proprio corpo, poi magari però le corse diventerebbero solo un noioso gesto meccanico.
Dopo qualche ora di sonno arriva, purtroppo, il momento di levare le tende. Il bus si rimette in moto, questa volta nella direzione inversa. Helmut, nonostante la caduta e un ginocchio mal messo, ha raggiunto il traguardo nei primi venti, riposato abbastanza per concedersi anche altre sei ore di volante.
A Vienna termina così uno splendido week-end, che sarà veramente difficile da dimenticare.
Dopo la partenza al fianco della Scopa |
In coda con la bici che guarda le spalle |
Secondo dei quindici ristori previsti, con Dieter |
A pochi metri dal traguardo, dopo quasi 36 ore |
Con la maglia da finisher |
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