Archiviata la bella esperienza sull'Adamello, ecco che è arrivato il momento di chiudere la mia stagione delle gare ultra con la classica gara del Wien Rund-Umadum.
Non poteva mancare un giro di ricognizione sulla seconda parte del percorso in questo breve periodo di vacanza. Che dire, gli ultimi 60 km non mi sono affatto sembrati un tragitto sconosciuto.
Sabato 3 novembre alle 5:30 sarò puntuale al via di questa quinta edizione sul percorso classico dei 130km.
Il tracking per il live della gara sarà ancora fornito da Legends Tracking, che è disponibile su questa URL: http://wien-rundumadum-2018.legendstracking.com.
Stato di forma che cresce, anche dopo il test su una gara come i 10km al Prater, ma che non può improvvisamente colmare il vuoto di questi ultimi quattro mesi passati a penare.
Però, finalmente, è bello partire senza acciacchi vari.
domenica, ottobre 28, 2018
domenica, ottobre 21, 2018
Finire l'Adamello 180
Mi chiedevo come mai un'ultra come l'Admello Ultratrail 180 (AUT 180) ci siano così pochi finisher distinti. Ma non solo, anche quando mi presento alla partenza di questo tipo di gare, ho l'impressione di vedere molte facce conosciute. Come se questo tipo di gare fosse solo disponibile ad un gruppo ristretto di persone. UMTB e TOR hanno i numeri che dimostrano il contrario, ma sono le uniche in un contesto molto affollato.
Se non avessi mai finito queste gare ultra, diciamo quelle sopra le ventiquattro ore, potrei pensare che chi riesce a finirle abbia dei numeri fuori dal comune. Però, ora che le ho finite anch'io, ho capito subito che proprio non è il caso. Anche perché parlo di finire un AUT180 e non di vincerla o lottare per il podio. Per vincerla si, che occorrono numeri fuori dal comune. Ma per finirla?
Per finirla sono convinto di no. Certo, se nella maratona si vedono personaggi che non avendo mai corso, alla prima scommessa fatta al bar dopo un certo orario e tasso alcolico, si iscrivono alla prossima gara, anche perché nella vita bisogna aver corso almeno una maratona, riescono in qualche modo a trascinarsi al traguardo, all'AUT180, invece, non riescono ad andare molto lontani. Non perché sia impossibile, solo in quanto l'organizzazione non lascia così tanto tempo per finirla, come lo sono, in proporzione, sei o sette ore per una maratona.
Tolti i corridori casuali, rimangono tutti quelli che corrono regolarmente e che sono in grado di portare a termine gare tipo una maratona senza bruciare le scarpe nella stufa appena finita o hanno rischiato di essere risucchiati dai camion che pulivano la strada appena dietro l'ultimo partecipante.
È questa categoria di corridori regolari, che teoricamente, a mio parere, è in grado di finire l'AUT180. Una categoria molto ampia.
Che cosa blocca allora la voglia di andare oltre alla gare di una durata col numero di ore che sta su una mano?
L'allenamento, che è poi la mancanza di tempo, è uno degli alibi che più sento. Se allenarsi una volta alla settimana per trenta minuti è veramente troppo poco, non credo che lo sia se le uscite settimanali sono tre regolari e magari una volta al mese si fa una gara lunga o un allenamento in montagna che abbia un po' di sostanza. D'altronde gli escursionisti partono al mattino e non tornano dopo un'ora, ma stanno fuori un giorno o più. Infatti forti camminatori in salita hanno ottime carte per finire l'AUT180, magari più di chi corre forte in pianura, ma su distanze sempre brevi. Rimane, alla fine, un numero di ore di allenamento fattibile, molto simile alla preparazione per una maratona con un obbiettivo di tempo definito.
Se non è la genetica, se non è la preparazione richiesta, come mai allora il circolo dei finisher dell'AUT180 rimane così ristretto? Credo che abbia a che fare con la percezione della gara e di come questi eventi vengono propagandati. È quasi impossibile capire cosa voglia dire stare in movimento per due giorni filati. Lo è anche per me, ma probabilmente il "software" che fa andare in corpo per diversi giorni senza pausa, deve essere un po' nascosto dalla mente razionale. Però una volta attivo, va che è un piacere. Poi termini come resilenza, doti mentali fuori dal comune, imprese estreme, metà testa e metà gambe e via discorrendo non contribuiscono affatto a semplificare la situazione.
Ci vuole un po' di condizione fisica, la voglia di passare un fine settimana in montagna e un tipo di carattere che quando si inizia una cosa, poi la si porta normalmente a termine. Per questo non serve né il mental coach né il seminario per correre sui carboni ardenti. Sono convinto che il panettiere che si alza alle tre del mattino sei giorni la settimana abbia più resilenza di uno come me che ha finito l'AUT180 e fa fatica ad arrivare alle 9 del mattino puntuale in ufficio.
Non voglio smontare quelli che si vantano di aver fatto questa o quella impresa millantando doti mentali e fisiche fuori dal comune, ma, ehi, se ne ho finite io una ventina di gare del genere, vuol proprio dire che non bisogna essere affatto dei fenomeni per portarle a termine.
Invece è l'emozione e lo stato d'animo che regala una gara come l'AUT180 ad essere unici. Questo è un privilegio che nessun altro evento mi ha mai regalato, perlomeno non con emozioni di quel tipo. Un mix tra bellezza del paesaggio, corpo portato vicino al limite e privazione del sonno, che creano situazioni difficili da descrivere perché non paragonabili.
Se non si ha nient'altro di meglio da fare, un invito a provare e, sopratutto, a osare l'AUT180. Questo anche se alla fine, dopo aver tagliato il traguardo entro il tempo limite, si rimane solo Clark Kent.
Se non avessi mai finito queste gare ultra, diciamo quelle sopra le ventiquattro ore, potrei pensare che chi riesce a finirle abbia dei numeri fuori dal comune. Però, ora che le ho finite anch'io, ho capito subito che proprio non è il caso. Anche perché parlo di finire un AUT180 e non di vincerla o lottare per il podio. Per vincerla si, che occorrono numeri fuori dal comune. Ma per finirla?
Per finirla sono convinto di no. Certo, se nella maratona si vedono personaggi che non avendo mai corso, alla prima scommessa fatta al bar dopo un certo orario e tasso alcolico, si iscrivono alla prossima gara, anche perché nella vita bisogna aver corso almeno una maratona, riescono in qualche modo a trascinarsi al traguardo, all'AUT180, invece, non riescono ad andare molto lontani. Non perché sia impossibile, solo in quanto l'organizzazione non lascia così tanto tempo per finirla, come lo sono, in proporzione, sei o sette ore per una maratona.
Tolti i corridori casuali, rimangono tutti quelli che corrono regolarmente e che sono in grado di portare a termine gare tipo una maratona senza bruciare le scarpe nella stufa appena finita o hanno rischiato di essere risucchiati dai camion che pulivano la strada appena dietro l'ultimo partecipante.
È questa categoria di corridori regolari, che teoricamente, a mio parere, è in grado di finire l'AUT180. Una categoria molto ampia.
Che cosa blocca allora la voglia di andare oltre alla gare di una durata col numero di ore che sta su una mano?
L'allenamento, che è poi la mancanza di tempo, è uno degli alibi che più sento. Se allenarsi una volta alla settimana per trenta minuti è veramente troppo poco, non credo che lo sia se le uscite settimanali sono tre regolari e magari una volta al mese si fa una gara lunga o un allenamento in montagna che abbia un po' di sostanza. D'altronde gli escursionisti partono al mattino e non tornano dopo un'ora, ma stanno fuori un giorno o più. Infatti forti camminatori in salita hanno ottime carte per finire l'AUT180, magari più di chi corre forte in pianura, ma su distanze sempre brevi. Rimane, alla fine, un numero di ore di allenamento fattibile, molto simile alla preparazione per una maratona con un obbiettivo di tempo definito.
Se non è la genetica, se non è la preparazione richiesta, come mai allora il circolo dei finisher dell'AUT180 rimane così ristretto? Credo che abbia a che fare con la percezione della gara e di come questi eventi vengono propagandati. È quasi impossibile capire cosa voglia dire stare in movimento per due giorni filati. Lo è anche per me, ma probabilmente il "software" che fa andare in corpo per diversi giorni senza pausa, deve essere un po' nascosto dalla mente razionale. Però una volta attivo, va che è un piacere. Poi termini come resilenza, doti mentali fuori dal comune, imprese estreme, metà testa e metà gambe e via discorrendo non contribuiscono affatto a semplificare la situazione.
Ci vuole un po' di condizione fisica, la voglia di passare un fine settimana in montagna e un tipo di carattere che quando si inizia una cosa, poi la si porta normalmente a termine. Per questo non serve né il mental coach né il seminario per correre sui carboni ardenti. Sono convinto che il panettiere che si alza alle tre del mattino sei giorni la settimana abbia più resilenza di uno come me che ha finito l'AUT180 e fa fatica ad arrivare alle 9 del mattino puntuale in ufficio.
Non voglio smontare quelli che si vantano di aver fatto questa o quella impresa millantando doti mentali e fisiche fuori dal comune, ma, ehi, se ne ho finite io una ventina di gare del genere, vuol proprio dire che non bisogna essere affatto dei fenomeni per portarle a termine.
Invece è l'emozione e lo stato d'animo che regala una gara come l'AUT180 ad essere unici. Questo è un privilegio che nessun altro evento mi ha mai regalato, perlomeno non con emozioni di quel tipo. Un mix tra bellezza del paesaggio, corpo portato vicino al limite e privazione del sonno, che creano situazioni difficili da descrivere perché non paragonabili.
Se non si ha nient'altro di meglio da fare, un invito a provare e, sopratutto, a osare l'AUT180. Questo anche se alla fine, dopo aver tagliato il traguardo entro il tempo limite, si rimane solo Clark Kent.
martedì, ottobre 02, 2018
Adamello Ultratrail 2018: quarta volta finisher 180
Arrivo dopo due giorni 1 ora e 20 minuti |
La classifica finale si trova qui.
È con grande fiducia che arrivo a Vezza d'Oglio giovedì dopo aver sperimentato il trasferimento da Vienna attraverso aereo e macchina. Arrivo al briefing serale che non c'è più posto. La cena al solito ristorante, dove molte facce non mi erano affatto sconosciute, anche se c'è stata l'occasione d'incontrarne di nuove, è durata più del previsto.
Quest'anno è record di partecipanti e chi arriva tardi non trova più posto in sala. Il percorso è rimasto pressoché uguale con le solite correzioni che, come da tradizione, vanno a togliere tratti scorrevoli, graditi ad un cittadino della pianura come me, in cambio di salite a sorpresa. L'eccezione è la salita sul monte Calvo, quest'anno più lunga, ma diventata più "umana". Alla fine la traccia gps dice che il percorso si è leggermente accorciato di qualche chilometro sul tratto fino a Ponte di Legno, mentre il secondo, quello della gara corta, si è allungato. Questa, mi dico, è un 'altra conferma che l'arrivo alla base vita di Ponte non significa nulla, che la gara deve ancora cominciare e che la seconda parte sarà ancora più lunga.
Tanto per cambiare in questo 2018 il meteo dice che farà caldo. Il pomeriggio di giovedì, prima del briefing, lo trascorro sul passo Tonale in pellegrinaggio nostalgico alla malga Cadì. Per un'idea del meteo, sono in maniche corte a 1900 metri alle cinque del pomeriggio a fine settembre. Ho anche provato un po' l'effetto quota e le gambe su queste piste da sci senza neve. Belli i ricordi nella malga Cadì, che questa volta resterà disabitata in quanto non più sede di ristoro della gara. In cambio, il percorso prevede il passaggio sul passo dei contrabbandieri a quasi 2700 metri in mezzo alle fiaccole che illumineranno la notte assieme alla luna piena. Sono sereno prima della partenza. Consapevole di aver fatto tutto il possibile per essere qui in Val Camonica con la possibilità di poterla finire anche stavolta. Allenamenti delle ultime settimane senza mai forzare e la gara del Dirndltal mi danno la conferma che fino a 21 ore ci posso arrivare. Piano, ma posso arrivare. Qui però le ore saranno più del doppio, ma se riuscirò a rispettare i vari cancelli rimarrò in gara. I commit I won't quit recito davanti alla malga Cadì. Solo i cancelli mi potranno togliere dalla gara e accetterò serenamente il verdetto, perché tutto quello che potevo fare nella mia situazione l'ho fatto.
Passo la notte prima della partenza dai pescatori. La gentile signora mi accoglie come ogni anno con grande ospitalità. Alla partenza siamo in 96, mai così tanti, solo una decina degli iscritti non si sono presentati ai nastri di partenza. Alle nove in punto mi avvio per questo splendido giro attraverso le montagne della Val Camonica. Parto ultimo provando se il cammino funziona bene assieme ad un corridore belga, che non rivedrò più. I bambini ci incitano entusiasti. Parto con la voglia di gustare tutto il giro e non penso assolutamente al ritmo che devo tenere. Voglio solo avere la sensazione di poter andare più forte, andando, però, piano. Il risultato è che mi ritrovo con i camminatori, gente che corre molto poco anche in discesa, ma che viaggia di gran ritmo in salita.
Solo sulla prima lunga salita riesco a tenere bene il ritmo, poi vado in affanno e decido di rallentare.
Un addetto al percorso mi dice, alle Bocchette di Valmassa, che il mio pettorale 80 è proprio la mia posizione. Mi dico però, del margine per superare delle persone ne ho, anche se mi conforta che almeno in sedici sono dietro.
Ho l'impressione di andare bene. Non ho dolori particolari ai soliti adduttori, zona inguinale e anche sembrano a posto e riesco a tenere un ritmo costante senza forzare. La salita per arrivare a Case di Viso, però, mi mette davanti alla dura realtà. Ora devo accendere la lampada perché si è già fatto buio. Non mi era mai capitato così presto, ma quest'anno viaggia così. Però, al momento, sono lontane le sofferenze del Dirndltal. La mia tattica comunque non cambia, salita costante e lenta, discesa un po' più spedita e brevi soste ai rifugi.
Stare dentro a questi primi cancelli non è un problema, e, dopo la sosta di Case di Viso, la salita verso il Bozzi mi rimette di buon umore. Nel frattempo un bovaro, mentre mungeva le mucche al pascolo di notte al buio, mi tira degli accidenti perché la lampada fa troppa luce. Chiedo scusa e continuo. Questo formulato in modo che anche i minori possano leggere questo resoconto.
Dopo il Bozzi salgo verso il passo inedito dei Contrabbandieri. Bello salire in mezzo alle fiaccole tenute sempre accese dai volontari, che passano ore al buio e in mezzo alla nebbia per illuminare la via a chi come me passa alla fine del gruppo. Già la nebbia, doveva esserci la luna piena ma alla sera è arrivata per coprire la luna. Così per la prima notte niente spettacolo luna piena. Prima della salita alla città morta c'è un nuovo ristoro e lì ritrovo tutta la compagnia che di solito era alla malga Cadì. Bello. Sulla salita alla Città Morta metto per la prima volta la giacca, qui c'è sempre un bel vento. Vado bene nella discesa successiva e finalmente riesco a usare i bastoni anche in questi tratti senza ribaltarmi. Biotopo Tonale quasi secco, ma non vedo il solito gazebo del ristoro in quanto è stato spostato più avanti. Qui una donna, che mi è sempre stata davanti in modo costante, si ritira. Strano mi dico, va più forte, ma abbandona.
A Vescasa vengo accolto come uno di casa. Mi dicono se mi ricordo della volta in cui avevo dormito sul divano. Dico che non me lo ricordo, ma è possibile e continuo l'appisolamento con la testa sul tavolo. Poi saluto e vado diretto verso la base vita Ponte di Legno. Arrivo al mitico ponte con la lampada che ho appena spento. Sono le sette del mattino di sabato e già incontro i primi corridori della gara corta che si stanno preparando.
Nella palestra base-vita di Ponte c'è un silenzio surreale, trovo però molta compagnia. Ci arrivo dopo 22 ore. Come lo scorso anno una minestra, un cambio maglietta e dopo venti minuti sono già fuori. Mi chiedono se riparto subito, rispondo di si e mi dicono che sono un grande. Però ora sono molto fiacco ed ho molta sonno. Qui la salita è tornata uguale al 2015, con passaggio su pista da sci e rifugio aggiuntivo. Più facile da gestire col ristoro, ma però più lunga. Provo ogni tanto a chiudere gli occhi quando la strada è ampia, ma in salita non vado e i molti che a Ponte avevo lasciato dietro ancora in palestra mi superano con grande facilità. Alcuni anche due volte dopo aver provato strade alternative, non notando segnali che avevo visto anch'io mentre dormivo salendo.
Al rifugio mi chiedono se sto bene, evidentemente non ho una gran bella cera. Rispondo che ho bisogno di una pausa e dopo un po' riparto al mio solito ritmo. Qui il tratto spiana per un chilometro, ma non riesco a cambiare passo. Mi chiedo dove voglio arrivare con quest'andatura. È la fase del dubbio, delle speranze che sembrano scemare, della realtà incombente che la mia condizione non è sufficiente per terminare. Poi cominciano a superarmi quelli della corta e qui ritrovo il ritmo. Forse gli incitamenti di questi freschi corridori o le pause per farli passare, fatto sta che riprendo con un ritmo decente per continuare speranzoso.
A Pontagna arrivo all'una e mezza del pomeriggio e sono di ottimo umore. Chiedo se sono tranquillo con i cancelli e mi rispondono che si, se mi rimetto subito in viaggio. Sulla salita del Monte Calvo, che mi costa quasi tre ore, capisco la ragione. Il cancello orario del rifugio cascata ora mi preoccupa. Lo scorso anno ero andato in grande crisi sul Calvo e ci avevo messo un sacco di tempo ad arrivare al successivo rifugio Cascata. Ora, invece, rischio di saltare. Così per la prima volta affronto la discesa dal Calvo con piglio diverso e sul verticale successivo del Pornina gestisco. Al Cascata ci arrivo con due ore e mezza di vantaggio sul cancello. È questo il punto critico, lo sparti acque che ti dice se puoi cominciare a pensare di arrivare in fondo oppure riprovare il prossimo anno. Ora la speranza di finirla, se non succedono sorprese, può cominciare a prendere forma. L'unico rammarico è la consapevolezza di arrivare al prossimo lago di Aviolo col buio e quindi di non poter ammirare la bellezza di tutta la vallata.
In compenso l'imbrunire rende la salita verso il lago una passeggiata solitaria. Qui di solito trovavo moltissimi camminatori di giornata di ritorno lungo gli stretti gradoni. Accendo la lampada che mancheranno veramente pochi metri al lago, ma sufficienti per farmi arrivare col buio e non vedere più nulla. Questa salita lungo la parete rocciosa, infatti, copre sempre la vista a tutta la spianata col lago di sopra. Ora sono solo verso verso il passo Gallinera, di notte, con la frontale in testa e una bella salita fino a più di 2400 metri. Bello. Sul passo, al bivacco del controllo, chiedo com'è la discesa. La voce dal gabbiotto mi risponde che è ripida. Rido, ma voglio sapere lo stato della frana, come se questa domanda potesse cambiare la situazione. Giustamente non ricevo risposta e mi avvio verso la via che mi porterà alla malga Stain.
Il secondo cambio di batteria della frontale mi blocca sul punto più brutto della discesa, che è ancora franata a tratti, però tenuta meglio rispetto allo scorso anno. Prima di ripartire con la nuova pila riesco a cadere due volte dopo aver fatto il primo passo. Al terzo tentativo riesco a ripartire. Alla malga Stain arrivo con un tifo da stadio e all'interno ci ritroviamo in un bel gruppo. Sono il primo ad uscire, ma nel primo pezzo della discesa non capisco un gran ché e sono molto lento. Ritrovo invece il ritmo dello scorso anno quando la discesa diventa strada asfaltata. Uno sguardo verso la sottostante Edolo tutta illuminata mi fa capire che c'è qualcosa che non quadra. Mi sembra di vedere una piattaforma rotante sospesa in aria, quasi come i ristoranti girevoli qui a Vienna, ma con macchine che salgono, bandiere, palloncini e gente in festa. Mi dico che non può essere vero e continuo. Dopo un po' decido di guardare ancora sotto e con mia grande sorpresa "vedo" esattamente la stessa scena. Bella per carità, ma assolutamente irreale. Dico, mah non ci siamo, scuoto la testa e continuo. Quando arrivo a Edolo la scena mi si presenta in modo molto diverso. La parte tutta sospesa in aria altro non era che un comune viadotto.
Lascio Edolo alle spalle e riprendo a salire che è l'una e mezza di notte. Qui il dislivello è enorme e il mio ritmo è ora lento. Anche se vado molto ma molto piano ho un bel fiatone in salita. La salita di quest'anno mi sembra un po' diversa rispetto allo scorso anno, mi sembra più lunga, ma alla fine non ci credo. Ad un certo punto incontro un tizio che sta tornando indietro. Scambiamo qualche parola, mi dice che ha mal di stomaco e sta tornando a Edolo per ritirarsi. Questa è una situazione molto strana per me, perché di solito vedo gente ritirarsi andando avanti o sul posto, ma mai tornando indietro. Per fortuna non è capitato a me e allora avanti.
Arrivo all'agognata malga Mola alle 4:15. Qui decido di dormire 15 minuti per cercare di alleviare le allucinazioni che hanno assunto un livello preoccupante e fastidioso. Tempo per arrivare al traguardo entro le 14 ne dovrei avere a sufficienza. Ormai ho trovato il mio ritmo e fino a Vezza non vedo problemi. Ritrovo la luce del giorno appena prima del lago del Mortirolo, mostrandomi una parte del percorso che non avevo mai visto con la luce del sole. Un sollievo per il buio del lago d'Aviolo, la certezza che arriverò a Vezza più tardi di tutti gli altri anni.
Il fiatone mi ritorna sempre appena la strada sale. Così anche sulla leggera pendenza del Pianaccio anche per quest'anno, dopo il temporale dell'anno passato, niente corsa. Rimane, però, tutta la consolazione della bella vista dal Pianaccio con la luce diurna.
Al ristoro prima della discesa finale, chiedo della via, domando se è quella dietro a quella macchina laggiù in fondo e mi rispondono ma quale macchina. Evidentemente il sonnellino di un quarto d'ora alla malga Mola non è servito a nulla e le allucinazioni sono rimaste.
Mi rifaccio sull'ultima discesa finale dove ancora una volta le gambe mi rimangono fedeli. Mi concedono la gioia di poter arrivare al traguardo con un'ottima corsa per la quarta volta consecutiva migliorando anche qualche posizione, ma non è la classifica quello che oggi mi interessa.
Nei pochi chilometri prima del traguardo riesco a passare in rassegna tutti e tre gli arrivi degli anni passati. Ognuno con sensazioni e stati d'animo diversi. Mi chiedo se questo sia il più bello. Rispondo che spero lo sia quello del prossimo anno.
Un grazie agli organizzatori, a tutti i compagni di viaggio e alle persone che mi hanno incitato, incontrato prima durante e dopo la gara, da vicino e lontano.
Non ho messo nessun nome, ma li ho in mente tutti.
Profilo 2018 |
Discesa Rovaia, venerdì mattina |
Prime ore di gara |
verso i primi ristori, venerdì, mezzogiorno |
Venticinquesima ora, salita verso bocchette di Casola |
Salita lago Aviolo, trentatreesima ora, ultimi minuti di luce del secondo giorno |
Arrivo |
Arrivo |
Premiazione finale di tutti i finisher |
martedì, settembre 11, 2018
La prossima gara? Adamello of course!
Passato l'esperimento non molto fortunato del Vienna Trail per vedere il mio stato di forma, ecco che si sta avvicinando a grandi passi il mio prossimo appuntamento. Che naturalmente sarà l'Adamello Ultra Trail edizione 2018, che da quanto ho appreso sul sito, sarà su di un percorso un po' diverso dalle altre edizioni. Finirlo per la quarta volta filata nonostante tutto, non sarebbe affatto male.
Dal video della gara Leadville 100 miglia, una scena del breefing pregara: "I commit, I won't quit" |
martedì, agosto 28, 2018
Vienna Trail
Sul percorso |
Il tempo finale di 1h:35' è stato meglio delle aspettative, anche se alla fine ho pagato 15 minuti in più rispetto allo scorso anno per coprire i 14km con i suoi 700D+ previsti.
Anche se mi aspettavo di fare peggio, non credo, ormai, che sia la velocità che riesca a farmi uscire da questa situazione di impasse, dove la zona inguinale proprio non ne vuole sapere di tornare in condizioni normali.
Ora vediamo quello che arriverà.
Prima del via, con due amici di società nonché partenti del prossimo WRU |
domenica, agosto 05, 2018
Dirndltal Ultratrail 2018
Premiazione ex-equo con Markus Srb |
Si può discutere a lungo del bisogno di compiere sforzi del genere quando il corpo proprio non ne vuole sapere ed escogita tutti i possibili malesseri per poter terminare anzitempo un simile sforzo. È stato un lungo processo, che è iniziato molto prima della gara, dove ad ogni allenamento, o pausa forzata, finiva sempre con il pensiero: "Debbo proprio partire in queste condizioni?". Ma ha farmi partire è stato il pensiero di uno spiraglio favorevole e nella consapevolezza, che per vedere la linea del traguardo, sarebbe stato necessario lottare. E lottare contro chi? Prima di tutto con il mio ego, abituato in questa gara a stare appena dietro ai primi. Qui dovevo accettare il fatto di viaggiare con chi andava molto più piano, fuori da ogni piazzamento o ambizione di tempo. Poi c'era la pubalgia, esplosa come se fossi un calciatore veterano, una bestia che ti illude negli allenamenti omeopatici, ma poi ti zavorra in quelli che contano togliendoti ogni certezza. Il caldo micidiale non è stato affatto d'aiuto, anzi, ha spianato la strada a crampi devastanti che mi hanno costretto a camminare in discesa e una volta addirittura disteso a terra impedendomi di rialzarmi ad ogni tentativo. Anche lo stomaco ha recitato la sua parte di asino davanti al leone ferito e anche non trovando nessun appunto contrario, come aver assunto cibi, bevande, o peggio, pastiglie che lo possano irritare, ha deciso lo stesso di sferzare un calcio maledetto costringendomi a pause forzate per nausea o diarrea. Eppure non ho mai perso il controllo, lasciando sfogare il corpo alle sue irritazioni del momento per poi continuare come se niente fosse. Pensando alla gioia di tagliare il traguardo in queste condizioni, dicevo al mio corpo che oggi era inutile mettersi di traverso, che al massimo quello che poteva ottenere era un inutile prolungamento della pena. Della sua pena, per essere precisi.
Per concludere, mi piace ricordare una sessione di allenamento pregara delle più proficue. Vale a dire la visione della scena di Ulisse quando si fa legare al palo della vela per sentire il canto delle sirene. Stringi più forte diceva al suo secondo. Si trova in rete alla metà del prezzo di una visita ortopedica, di quelle che ti fanno un'ecografia per escludere che. Una risonanza per escludere la. Tutto per finire con la solita ricetta di antinfiammatori, terapie laser stile discoteca anni 80. Con l'ultimo passo il lasciapassare al fisioterapista di turno, che mi spiega che ho un blocco, un accorciamento, mancanza di streching, trigger doloranti, assoluto bisogno di nastri adesivi colorati, una dieta ottimale e via discorrendo.
Mentre quello che mi mancava veramente,invece, era di tagliare il traguardo di un'ultra come il Dirndltalextrem.
Solo per una volta ancora.
Partenza |
Primi chilometri |
Quando ancora sembrava andare tutto bene. Appena prima del CP2 |
sabato, giugno 30, 2018
24 ore a Irding
Come lo scorso anno, anche in questo 2018 mi sono presentato ai nastri di partenza della gara delle 24 ore a Irdning, che nel 2019 ospiterà anche i mondiali di specialità.
Meteo non molto differente dalla precedente edizione con la differenza di una pioggia fin dalla partenza, un meteo che a me non dispiace.
Sulla mia gara c'è poco da dire. Sono partito tranquillo nelle retrovie ma neanche dopo tre ore gli adduttori, provati dai due tornei di calcio affrontati a metà giugno, non mi hanno più permesso di correre. Così non mi è rimasto altro che salire in macchina e tornare a casa con soli 26km di corsa all'attivo, che mi sono valsi la penultima posizione in classifica.
Meteo non molto differente dalla precedente edizione con la differenza di una pioggia fin dalla partenza, un meteo che a me non dispiace.
Sulla mia gara c'è poco da dire. Sono partito tranquillo nelle retrovie ma neanche dopo tre ore gli adduttori, provati dai due tornei di calcio affrontati a metà giugno, non mi hanno più permesso di correre. Così non mi è rimasto altro che salire in macchina e tornare a casa con soli 26km di corsa all'attivo, che mi sono valsi la penultima posizione in classifica.
Partito e arrivato penultimo |
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