martedì, marzo 10, 2020

Materiale usato nella Spine Race

Gear
L'ultimo post della serie Spine Race lo dedico, come promesso in precedenza, al materiale usato.
La Spine Race ha una lista di materiale obbligatorio contenente 29 elementi.

Il primo elemento è lo zaino. Ho provato in allenamento un Raidlight 20L comprato qualche anno fa con borsa davanti. Un modello ormai superato, sviluppato per la Marathon des Sables. Non mi ha convinto in quanto non riesco a farci stare dentro tutto il materiale. Allora sono passato all'ultimo modello della Raidlight, il Revolutiv da 24L con un peso di soli 270 grammi. Già dalla prima uscita, inizio ad avere delle perplessità sulla sua tenuta e ne compro un secondo modello più stretto. Non è solo la taglia troppo larga, ma anche la consapevolezza che usandolo in ogni allenamento a pieno carico, la probabilità di romperlo non è trascurabile. Per la cronaca lo zaino non ha tenuto tutta la gara. Al checkpoint 4 penso di cambiarlo in quanto i segni di rottura sono evidenti, ma poi decido di rischiare con lo stesso zaino, più per la mancanza di voglia di vuotarlo. Prima del check point 5.5, però, mi trovo a correre in discesa con una mano sotto lo zaino per evitare il peggio, e a rimpiangere la decisione del mancato cambio. Il materiale esterno non è resistente all'acqua, per cui il contenuto l'ho riposto in diverse sacche impermeabili, che hanno un peso non trascurabile. Sicuramente non un zaino adatto alla Spine.

Le scarpe. Le prime scarpe che ho comprato apposta per la gara sono state le Salomon Gtx. Scarpe in Gorotex, pesanti con suola rigida e stabile, molto adatte al cammino. Le ho usate in allenamento in qualche camminata cittadina sotto la pioggia scivolando spesso. Non le ho più messe e non rimpiango la decisione. Poi sono passato alle Sportiva Tempesta. Scarpe che sembrano fatte apposta per la Spine, con il materiale Gorotex e la ghetta incorporata. Il vincitore, Kelly, mi sembra le abbia indossate in gara così come il mio compagno di viaggio il francese Francis. Non sono un fan del Gorotex sulle scarpe, anche perché non riesco ad usarle in allenamento, a meno che non ci sia pioggia, o al massimo 5 gradi. Condizioni che sono state veramente rare qui a Vienna nel periodo di avvicinamento alla gara. Della Sportiva a me non piace la suola rigida. Non ci sono abituato e i miei piedi ne risentono in gara, spikes a parte. Forse se abituassi i miei piedi alle suole Sportiva, usando magari dei modelli estivi, credo che riuscirei ad usarle. Ma a quello che i miei piedi sono abituati sono, senza dubbio, le Hoka Speedgoat.  Le ho portate in Inghilterra solo per fare il tratto fino al check point 1. Così pensavo, anche perché erano già molto consumante, e in dicembre non sono più riuscito a sostituirle con un modello nuovo. Invece le ho usate per i due terzi della gara. Le Speedgoat nella Spine le ho usate con le calze impermeabili, le quali richiedono, per lunghe distanze, una sottocalza leggera.  Se le Speedgoat avessero avuto la dimensione corretta, sarebbero state un'ottima combinazione. Invece, le scarpe con due calze del genere sono risultate troppo strette e i tasselli troppo consumati. Due numeri in più, una tassellatura nuova e magari sfoltire un paio di tasselli con un coltello, dovrebbero dare sul fango un appoggio simile a quello della Sportiva. Le Speedgoat, però, sono scarpe da pietra, bagnata o asciutta che sia, non da erba bagnata o fango pesante. Il problema è che nella Spine si passa da un estremo all'altro e trovare il giusto compromesso non è semplice, anche se il fango è la parte predominante.

Materiale di emergenza. Per il Bivy ho usato un modello della Salewa.  È molto leggero e impermeabile anche se non l'ho mai usato. Si è costretti ad usarlo in caso di bivacco di emergenza per evacuazione, oppure anche in caso di pernottamento all'aperto. Il mio ritmo mi ha consentito di raggiungere i checkpoints nella notte, dove era possibile dormire. Chi, però, ha avuto un ritmo più veloce del mio, diciamo intorno alle 115/120 ore totali, è arrivato ai checkpoints di giorno e per dormire di notte doveva bivaccare fuori. In questi casi, o si usa la tenda, oppure si sacrificano le ore diurne al sonno.
Come stuoia ho portato la Thermarest NeoAir UberLight. L'ho usata al checkpoint 1.5 e 5 per dormire in terra, ma mai fuori. Molto leggera, sicuramente non ideale per l'inverno, ha lo svantaggio, non da poco, che per sgonfiarla ci vuole una vita e il volume iniziale lo prende dopo un mese. Fintanto che non viene usata, occupa veramente poco spazio nello zaino. Ha passato il controllo materiale pregara senza problemi.
Sacco a pelo ho preso il Thermarest Hyperion 20 UL. C'è l'obbligo di un sacco a pelo certificato con confort almeno a zero gradi. Il mio modello è certificato a -6. L'ho usato per dormire nei checkpoint 1.5, 3 e 5. Nel checkpoint 1.5 mi sono svegliato in mezzo all'acqua, ma non ho sentito l'umidità e si è asciugato velocemente. Non so sia confortevole a -6, ma, per come l'ho usato, sono rimasto molto soddisfatto.
Completa la sezione il kit di pronto soccorso obbligatorio con benda, cerotti, disinfettante, telo di emergenza e pastiglie per la diarrea e allergia. Mai usati e mi sono trovato a disagio nel portare delle pastiglie.

Cibo e cucina. Il fornello è obbligatorio. Qui ho scelto un MSR WindBurner, che è si compatto e antivento, ma sempre abbastanza ingombrante e pesante. La cartuccia del gas l'ho comprata al controllo materiale. L'idea di tenere il fornello nel bagaglio a mano mi è costata, all'aeroporto, un controllo aggiuntivo e mezz'ora di fila in più. Alcuni hanno usato la cartuccia gas con il trepiedi, un cartoncino come antivento e la tazza in titanio. Il cucchiaio completa l'assetto. Comunque mai usati.
La scorta di 3000 calorie obbligatorie, invece, l'ho sottovalutata. C'è quest'obbligo per i checkpoint 1, 3 e 5. Ma sarebbe stato meglio, per me, ad ogni checkpoint. In più per il checkpoint 5 sarebbe stato meglio 3500/4000  calorie. Infatti dal checkpoint 5.5 le 3000 calorie se ne vanno come niente e da lì non c'è praticamente nulla da mangiare. Per le calorie ho usato le razioni di emergenza WPR-12 da 500 grammi (ormai introvabili, prezzo + 60% e consegne con tempi remoti) per 2500 calorie a pacco. Il resto delle calorie con biscotti e cioccolata. Ho portato anche dei gel, che, tranne appiccicarmi tutto il resto del materiale, non ho minimamente usato. I gel alla Spine non sono da includere nel bagaglio. 

Acqua. Obbligatori sono due litri. Il vantaggio dello zaino Raidlight è che offre due ottime soft flask da 600cl che si possono usare al  volo. Per completare la scorta, ho portato nello zaino un litro d'acqua nella soft flask Platypus, veramente ottima. Pensare di correre, e di raggiungere il checkpoint successivo con 2L di acqua, è per me molto velleitario. Se poi uno prende anche dei gel, che hanno bisogno di tant' acqua, sicuramente non si va molto lontani. Ci sono dei rifornimenti volanti d'acqua durante il percorso, il problema è che bisogna saperlo con precisione dove sono. Di giorno non mancano, mentre di notte sono rari. Tra il checkpoint 5.5 e il traguardo ho riempito le borracce al rifugio con acqua che mi hanno messo a disposizione i volontari. Vale a dire acqua dei rigagnoli della zona, filtrata con dispositivi manuali. Il colore dell'acqua filtrata? Un bel marrone.

Vestiario. In allenamento pre-gara (novembre e dicembre) ho cercato di usare sempre due strati, con la giacca in gorotex, che ho portato attaccata allo zaino cercando di capire dove meglio attaccarla. Nella Spine, invece, 4 strati sono stati lo standard. Su 138 ore di gara, la giacca in gorotex l'ho tolta solo per un'ora il lunedì a mezzogiorno. Di solito ho indossato cinque strati di notte, mentre nelle notti più fredde di martedì e venerdì, anche sei.
I pantaloni in gorotex, invece, sono stati fondamentali. Non li ho usati solo quando li ho dimenticati al checkpoint 4, ma sono dovuto tornare indietro a riprenderli. Impensabile, per me, non usarli e non ne ho visto un paio non rotti all'arrivo.
Per le calze ho sottovalutato la situazione. Scarpe in gorotex e calze impermeabili per me sono incompatibili in quanto il mio piede soffoca. Le calze impermeabili tengono, ma poi arrivano ad un punto che s'inzuppano troppo e vanno cambiate. Una volta ogni due giorni al massimo. La calza sottile sotto, invece,  tutti i giorni. Con solo due paia di calze impermeabili e tre paia leggere, mi sono trovato alle strette. Calza normale e scarpa in gorotex, invece, non mi hanno convinto, anche se possono avere la loro logica in certe condizioni dove l'umidità non è eccessiva.
Strato base con mutande e maglia a maniche lunghe della x-bionic (3 paia complete). Niente da dire, una garanzia.
Per i guanti ho sempre indossato tutto il giorno quelli da ciclista come strato base. Veramente comodi. Permettono di usare i bastoni sempre, e maneggiare senza problemi gps e mappe. Ho usato un copri guanto impermeabile e antivento della Salomon. Ottima funzionalità ma non ha tenuto tutta la gara.  Il problema dei guanti da ciclista è che la punta delle dita sono esposte al vento e alla pioggia. Col passare dei giorni le dita si sono tutte tagliate in punta.
Per la notte, invece, guanti invernali tipo sci, fintanto che non li ho persi. Il prosieguo l'ho fatto con dei guanti in gorotex di riserva non adatti alla situazione, in quanto faticavo a metterli con le dita sempre bagnate.
Durante le prime notti traumatiche post gara, poi, mi sono svegliato d'improvviso in un bagno di sudore sentendo i guanti da ciclista addosso, come una seconda pelle, anche senza indossarli veramente.

Navigazione. Il gps è obbligatorio ed ho usato il mio vecchio Garmin Map60sx. Un modello che avrà una dozzina d'anni, che sembra uguale ai nuovi Map66, ma alla prova non lo è. Questo è stato un punto molto debole. Anche la maneggevolezza è importante, infatti il dispositivo deve essere sempre accessibile in qualsiasi condizione. In tasca, o peggio nello zaino, non è il posto giusto.
Alcuni ne avevano uno di riserva. Al checkpoint 5, infatti, viene controllato se il gps è ancora funzionante. Se non lo è la gara finisce lì.
Per le mappe cartacee ho usato quelle della guida "Pennine way" per un totale di 135 che, dopo averle tagliate dal libro, ho plastificato pagina per pagina. Non hanno passato il check del materiale obbligatorio e quindi ho portato anche quelle ufficiali in scala 1:40 000, che però sono riamaste sempre nello zaino.
Il problema principale delle mie mappe è che non sempre è stato facile trovare la posizione in modo corretto. Credevo di essere in un punto invece ero in altro e la navigazione ne ha risentito.
La bussola Silva Expedition completa il kit navigazione. Veramente ottima anche se l'ho usata molto poco.

Altro materiale. Per il coltello ho scelto il modello Light My Fire, per via dell'accendi fornello incorporato, anch'esso obbligatorio (un semplice accendino non andava bene). Scelta un po' ardita per via del peso e del volume. Il coltello, comunque, l'ho usato per aggiustare lo zaino al checkpoint 5 e il porta-mappe al checkpoint 4, non facendomi mancare anche un taglio alle dita.
Occhiali da sci a visiera trasparente Uvex. Che poi non provengono dallo scompartimento sci, dove ho cercato invano, ma da quello antinfortunistica. Sembra che le visiere trasparenti non vengano usate nel mondo dello sci. Comunque ottimi e usati spesso, specialmente di notte. Una visiera oscurata non è assolutamente consigliabile.
Orologio Tomtom  con caricate tutte le mappe gpx della Spine. Mai usate. L'ho guardato solo di notte per vedere l'orario quando mi svegliavo al checkpoint. Mai ricaricato, con l'indicazione dell'ora che è rimasta attiva per tutta la gara. La navigazione con l'orologio è stata del tutto inutile.
Telefono Nokia 1110. Al controllo materiale della partenza non aveva segnale, ma solo per un problema di campo. Infatti il segnale alla partenza è veramente molto basso. Batteria che ha tenuto tutta la gara senza problemi. I tasti consumati rendono difficoltosa la scrittura delle sms, gli unici messaggi disponibili su questo telefono. Mi sono aiutato con messaggi preimpostati per ogni evenienza. Credo di aver mandato quattro o cinque messaggi durante tutta la gara e non ho mai telefonato. Per me un gran vantaggio.
Lampade frontali: tre. La Ay-Up, che uso di solito in tutte le altre gare, ha un'autonomia massima di 20 ore di utilizzo ininterrotto  usando tre accumulatori (8+8+4). Tra l'entrata e l'uscita dal checkpoint, se non mi dimenticavo, riuscivo a caricare 2 accumulatori sufficienti per arrivare al checkpoint successivo. Altrimenti ho usato una Seo5 ed una imprecisata Petzl dello stesso livello, entrambe a 3 batterie AAA. Sia la Seo5 che la Petzl  sono lampade che hanno un fascio di luce troppo debole per consentire una navigazione sicura e veloce nella notte. Con la  Ay-Up, invece, nessun problema.

Come si vede, la lista del materiale della Spine è  abbastanza impegnativa. Però è stato molto interessante costruirla passo passo nel tempo cercando di migliorarla dopo aver provato il materiale in allenamento. Ho fatto diversi errori di scelta, ma nel complesso, per un debuttante come me, non è andata affatto male.








domenica, febbraio 23, 2020

Spine Race 2020 - ultima parte

Esco dall'ultimo checkpoint importante, il numero 5 di Bell'ham,  che è ormai chiaro.  Gli scolari, con le loro divise, aspettano il bus che li porterà a scuola ed osservano interessati un esemplare di essere adulto che, con bastoni e zaino, attraversa il paese.

Forse è bene che spieghi il perché ci abbia messo quasi dieci ore per uscire dal checkpoint.
Francis mi ha detto, prima di entrarvi, che ormai è impossibile finire la gara prima di venerdì. Il che vuol dire arrivare di notte, quando, invece, mi sarebbe piaciuto arrivare con le prime luci del mattino di sabato.
La classifica finale mostra che è andata diversamente, ma non è questo il punto. Mi sono svegliato e alzato, come in altre occasioni, dopo poche ore, ma per due occasioni ho deciso di tornare nel sacco a pelo a dormire. Troppo presto mi sono detto. Alla terza volta mi sono trovato da solo nella stanza e lì ho deciso di partire. Non prima di una doccia e colazione. Poi mi sono dimenticato di farmi la barba e sono tornato nel reparto docce per farla. Le scarpe Speedgoat si sono ridotte ad un colabrodo e con rammarico le ho gettate. Per usare le Sportiva ho prima tolto gli spikes. Una volta fuori, però, mi sono accorto che li ho tolti solo alla scarpa sinistra. Dietrofront e con l'aiuto di un volontario molto gentile abbiamo sistemato anche l'altra scarpa. Più che ad una gara, mi è sembrato di essere in un albergo dove ci si deve congedare ed è difficile partire. Ma non rimpiango la decisione di essermi fermato così a lungo. Il mio obbiettivo principale era quello di imparare a correre in una gara come la Spine e sapere se veramente fosse una competizione adatta alle mie caratteristiche.

Il venerdì mattina, ultimo giorno, è una giornata splendida con sole e senza vento. I bogs, o come si dice torbiere, in questa parte non presentano lastroni in granito, ma con la luce diurna sono abbastanza semplici da navigare. Anche perché la linea da seguire è pressoché diritta per chilometri e chilometri. In un bogs in una delle rare pinete, però, riesco a sprofondare fino alla coscia mettendomi in allarme ogni volta che devo passare in mezzo agli abeti.
Verso il checkpoint 5.5 di Byrness la strada diventa molto corribile e qui il mio zaino comincia a lacerarsi. La mia preoccupazione principale è che tenga almeno fino al controllo del checkpoint. Penso poi a come continuare se l'imbragatura dovesse rompersi completamente.

Al controllo di Byrness arrivo per l'ora di pranzo, il quale mi viene offerto da una gentile signora nell'abitazione dove si trova il checkpoint.
Dopo quaranta minuti mi dicono che devo uscire e, fuori, trovo Antonio, che era partito dal checkpoint 5 prima di me, che mi sta aspettando. Allora decido di stare assieme a lui fino al traguardo. So che il suo ritmo è più lento del mio, ma nel compenso lui conosce la zona, naviga senza errori e un po' di compagnia alla fine non fa male. In più, nella notte di martedì avevo approfittato molto della sua navigazione, quando ero senza un guanto, e mi sembra ora più corretto rimanere con lui.

Questo è il pezzo dei Cheviot. Una quarantina di chilometri in una zona selvaggia e montuosa al confine con la Scozia, che risulta impegnativa nella navigazione e rende un'eventuale evacuazione molto problematica. Quando arriva il buio la temperatura scende notevolmente e l'immancabile vento si presenta con la sua forza e costanza. Qui i pietroni di granito, che coprono le torbiere, cominciano a brinare aumentando il loro grado di scivolosità da 'alto' a 'caduta garantita'. Dove non ci sono lastroni, invece, è ancora peggio, in quanto il terreno, a volte, sprofonda in modo inaspettato. Mi capita in un punto dove mi sembra di calpestare un'innocua pozzanghera tra due lastroni, mentre invece sprofondo fino al torace.  Antonio sente l'urlo e lo splash, si gira  e si mette a ridere. Ora sono bagnato come un pulcino e col vento che tira non è così confortevole. Mi dico fino a quando non toccherò il muro finale a Kirk Yetholm la gara non è mai scontata e devo fare attenzione.

Passiamo gli ultimi due rifugi, dove ci preparano delle bevande calde con acqua filtrata dai rigagnoli della zona, senza altri problemi. Però è chiaro il rischio che si può incontrare in questi luoghi. Non mancano solo le strade dove possono arrivare dei mezzi a motore, ma anche elementi base come l'acqua. Se un elicottero non può volare per il vento, come è prassi da queste parti, l'unica alternativa è il soccorso di volontari a piedi in mezzo ai bogs.

Le ultime miglia, invece, scorrono tranquille. Niente più bogs ma terreni semplici. Sorprendentemente è in questo tratto che comincio ad avere dei forti dolori ai piedi. L'euforia dell'arrivo lascia spazio al dolore, che fino ad ora non avevo mai sentito.
Tocchiamo il muro di Kirk Yetholm alle 2:48 di sabato mattina ancora in piena notte.
Le sensazioni che provo all'arrivo sono molto strane. Niente euforia, solo una sensazione di vuoto che non riesco a spiegarmi.

Questa è anche la fine del mio viaggio da Edale a Kirk Yetholm lungo il percorso Pennine Way durato 5 giorni e 18 ore. Complimenti a chi è riuscito a leggere tutto il resoconto dall'inizio alla fine.
Per la cronaca la classifica finale si trova qui.

Per finire, l'opportunità di poter concludere un esperienza simile rimane, senza dubbio, un privilegio.

Bolletino meteo al check point 5


Arrivo e medaglia finale





sabato, febbraio 15, 2020

Spine Race 2020 - quarta parte



Lascio il checkpoint di Alston pieno di energia dopo una breve video intervista.
Già dall'inizio sento le gambe muoversi molto bene, però diverso dal solito. Dopo due chilometri realizzo questo "diverso dal solito": non ho indossato i pantaloni goretex, che ho dimenticato al checkpoint. Penso velocemente alle varie possibilità, ma non posso accettare la variante di arrivare fino al prossimo checkpoint senza quei pantaloni. Così mi tocca ritornare ad Alston e, con grande sorpresa degli addetti, spiego che ho dimenticato i pantaloni impermeabili. Me l'infilano nello zaino e via che riparto. I volontari dei checkpoints sono veramente un grande aiuto.
Dopo un paio di scivolate sull'erba bagnata, però, ritorno ad indossarli. Già l'idea di continuare senza mi sembra assurda.

In questo tratto privo di bogs riesco a correre con continuità attraversando diversi villaggi. A Knarsdale è ormai chiaro ed ho voglia di una bella colazione inglese. Lascio il percorso per seguire le indicazioni di un Hotel che purtroppo, quando mi ci trovo davanti, risulta chiuso. Altri chilometri per niente. Qui un tizio in bici mi affianca e mi dice che ho sbagliato strada. Lo ringrazio, ma spiego che ho fatto apposta per andare in un locale a mangiare. Mi dice che sulla via c'è una scatola che contiene degli snacks per i partecipanti della Spine. Vero, dopo qualche minuto raggiungo il contenitore e faccio scorta di biscotti e dolcetti.
Un rifornimento inatteso davvero gradito.

Ritrovo i cari bogs e, come sempre mi è successo fino ad ora su questo tipo di terreno, mi raggiungono da dietro. La navigazione in questi tratti è piena di trappole e non riesco a riprendere la via solitaria. Pian piano il nostro gruppo aumenta e in prossimità di Greenhead siamo già in cinque o sei. Faccio ora coppia con Francis, compagno del giorno precedente nella bufera di Dunn Fells.

In prossimità di Greenhead gli dico che provo a correre un po' e riparto in solitaria lasciando la compagnia. Qui non ci sono più bogs ma inizia il muro di Adriano. Dodici miglia a navigazione banale, infatti basta seguire il muro. Ci sono dei continui saliscendi, ma il terreno è ora duro e, anche se ogni tanto piove, viaggio molto bene.
All'improvviso compare un tizio che mi fa una video intervista e mi dice che ho raggiunto le 200 miglia. Wow dico, proprio non ci pensavo alle miglia percorse fino ad ora. Ma il numero duecento comincia a farmi fare delle previsioni per quando riuscirò ad arrivare al traguardo di Kirk Yetholm. Infatti, da qui, mancano solo 68 miglia.

Prima o poi bisogna lasciare il muro di Adriano, manufatto romano che la mia mappa inglese riporta che è stato eretto dai romani per difendersi dai barbari. Sorrido e mi chiedo chi siano questi barbari, come se sotto il muro ci siano state delle differenze per Roma. O è sottinteso che siano gli Scozzesi questi barbari?  Chissà. Comunque riesco a sbagliare il punto in cui devo lasciare il muro per tornare a viaggiare nei bogs che mi separano dal quinto checkpoint di Bellingham, ultimo punto in cui ritroverò la mia borsa.

La navigazione in questi bogs è veramente problematica. Infatti non ci sono sentieri definiti e i pietroni di granito sono del tutto assenti. Fin tanto che c'è luce riesco ad orientarmi con i vari elementi in lontananza, tipo foresta o singola fattoria. Quando però arriva il momento di accendere la lampada è una catastrofe. Arriva il vento e mi sembra che la via da seguire sia sempre quella con più acqua e fango.
Bisogna provare per avere un'idea di come si possa avanzare in questo tratto.
In prossimità di una fattoria isolata, una gentile signora mi viene incontro con una lampada e mi ospita nella sua barchessa. Mi offre dolci e minestra e mi dice che quelli che mi seguono sono ad una ventina di minuti. Mi chiedo se vale la pena continuare di questo passo da solo con un margine così esiguo. Decido così di aspettare e di continuare verso il checkpoint al seguito di Francis e un altro socio.
Visto com'è la navigazione notturna in questo tratto, la scelta è stata ottima in quanto mai avrei tenuto il piccolo vantaggio da solo.

Francis  commenta l'ultimo tratto di bogs con una frase tipo credevo già di aver visto il peggio nei giorni scorsi, ma in quest'ultimo tratto ho dovuto ricredermi.

In questi frangenti decido di abbandonare definitivamente la modalità gara in quanto voglio solo gustarmi i tratti che mi separano fino all'arrivo.
Arriviamo all'ultimo checkpoint dove possiamo ritrovare le nostre borse alle 21:47 di giovedì.

È arrivato il momento per una bella dormita, in terra col sacco a pelo all'interno del checkpoint.

-Segue-

Lungo il muro di Adriano








Uscita dal checkpoint 4 di Alston

Video intervista alle 200 miglia


Lungo il muro di Adriano


                                     

domenica, febbraio 02, 2020

Spine Race 2020 - terza parte


Passato il villaggio di Thwaite, salutato il fotografo sotto una gran acqua e fatta l'amara scoperta di avere un solo guanto pesante, decido per una variazione del percorso, circa 1 Km, per una sosta ristoratrice a Keld.
In questo piccolo villaggio hanno allestito una sala in cui i viandanti possono prepararsi un caffè e mangiare una torta. Tutto in modalità self-service. Apprezzo molto e con le borracce di nuovo piene d'acqua riparto con uno spirito nuovo. All'imbrunire compare un po' di sole e un gentlemen inglese che, con stivali di gomma fino al ginocchio ed un setter al seguito sembra uscito dalla pubblicità di Barbour, dice di volermi accompagnare per un pezzo. Accetto molto volentieri la compagnia mentre mi guida nei bogs e mi racconta come sta andando la gara. Gara fino ad ora molto umida, ma le previsioni meteo da giovedì indicano bel tempo. Gli rispondo che non credo alle previsioni meteo, ma quello che viene lo accetto.

Al momento di accendere la lampada mi saluta e così proseguo di corsa verso Tan Hill Inn, il pub alla quota più alta in Inghilterra (528 slm). Qui il meteo è decisamente degenerato, acqua, neve e vento in quantità notevoli. Dentro al pub, però, c'è il clima di festa. Un tizio in ipotermia davanti al camino abbandona la gara e il mio amico giapponese che sta mangiando.
Dopo una veloce cena a base di chicken curry vorrei ripartire in compagnia. Ma nessuno sembra aver voglia di uscire di notte con un tempo del genere (-7 la temperatura percepita causa vento).
Così decido di rischiare una discesa veloce nel bogs innevato  per cercare di raggiungere un gruppo che è uscito dal pub quando sono entrato. Dopo una mezz'ora, e un paio di innocue cadute, riesco nell'impresa di agganciarmi ad un terzetto che mi guiderà per tutta la notte fino al check point di Middleton.
Sfruttando la navigazione dei miei soci, in questo tratto veramente difficile, riesco a tenere la mano in tasca per sopperire la mancanza del guanto ed arrivo al checkpoint con un ottimo tempo.

Dopo tre ore di sosta riparto con i guanti di riserva e nuove scarpe. Sono stanco di scivolare ad ogni passo. La combinazione odierna è: scarpe Sportiva Uragano in goretex, calze resistenti all'acqua e spikes.
Il cambio di scarpe, però, non è una grande idea. Gli spikes sul terreno roccioso alla lunga si fanno sentire nella suola e il piede, con tutta questa protezione, respira male. L'assetto usato fino ad ora, invece, è stato: Hoka Speedgoat con tasselli non proprio nuovi (Adamello e WRU), tomaia che presenta i primi buchi e calze resistenti all'acqua.

La giornata odierna di mercoledì è caratterizzata dal vento contrario. La prima diversione di giornata causa fango mi fa finire in una fattoria dove il padrone, dopo essersi svegliato nel cuore della notte, mi fa notare che ho sbagliato strada. Ringrazio più che altro che non mi abbia sparato. Scavalco tutti i suoi cancelli rigorosamente chiusi e muri con tanto di filo spinato che mi separano dalla traccia gps, che ho lasciato per seguire la diversione ufficiale.

Con gli occhiali da sci ed un timido sole proseguo per tutta la giornata al passo. In teoria potrei correre, ma il forte vento contrario mi fa propendere per la calma. Il panorama lungo questo tratto è davvero molto affascinante, specialmente il passaggio a High Cup Nick.
Arrivo al controllo di Dufton che è ora di pranzo e in un caffè ordino quello che c'è, vale a dire una colazione all'inglese. Faccio notare che non è più ora di colazione, ma mi dicono che si può mangiare per tutto il giorno. Comunque squisita. Dal paese si nota il centro studi, punto in cui presto dovrò passare, totalmente immerso nella neve. Lì si trova anche il punto più alto di tutto il percorso, vale a dire Cross Fell a 893 metri. Faccio vedere il mio sacco a pelo al controllo materiale, così mi tocca svuotare tutto lo zaino.

Parto con grande slancio per sfruttare più possibile la luce del giorno e quando raggiungo la neve la navigazione diventa finalmente banale. Infatti, anche nel buio, basta seguire le tracce che hanno lasciato quelli che sono passati prima. Qui, forse, trovo anche un senso alla scelta di usare gli spikes. Così dopo essermi spaccato la suola dei piedi sulle rocce per tutto il giorno, cerco di essere contento di non aver perso  un paio di secondi per tirare fuori i ramponcini dallo zaino.
Scelta che però poi rimpiango, quando a Dunn Fell un vento laterale micidiale mi fa volare via la protezione dello zaino, cancella di colpo tutte le tracce come se fosse una lavagna bianca e mi blocca sui miei bastoni. A questo punto Francis, il mio socio francese che mi seguiva, mi affianca, mi copre dal vento e col suo GPS prende in mano la navigazione. Io non stacco le mani dai bastoni piantati nella neve, mi sembra di volare via e non riesco più a stare davanti. Qui trovo anche un dispositivo GPS in terra, confermandomi di quanto sia difficile stare in piedi cercando di usarlo.
Per fortuna il vento micidiale è solo in quel punto e, passato quello, la via ritorna quasi normale con le tracce nella neve che tornano a riapparire.

Arriviamo al rifugio Greg's Hut. Ci accoglie con le luci delle sue candele e del mitico Barba, che ci prepara una ottima pasta con chili sul fuoco del camino. Raccontiamo un po' delle difficoltà incontrate a Dunn Fell e del GPS ritrovato. Il Barba se la ride, come dire che se mi aspettavo una gara tipo vasca in viale Ceccarini, mi sono sbagliato di grosso. Ci dice anche, che almeno fino al checkpoint di Alston è tutta discesa facile.
Lì posso anche riconsegnare il GPS che ho trovato e consentire il prosieguo di chi l'ha perso. Infatti al check point 5 non si può continuare senza GPS, il che significa ritiro per il malcapitato, sempre che non abbia un dispositivo di riserva.
Nella decantata facile discesa, purtroppo, non riesco ad andare per colpa degli spikes che mi fanno male ai piedi.

Al paese successivo una signora mi accoglie come "Mr. Crocodile Dundee" e mi fa entrare nella sua casa. Le dico che sono tutto coperto di fango e che gli spikes nelle scarpe gli rovinano il pavimento. Poi preciso che non vengo dall'Australia, come indicato nel live, ma dall'Austria. Dice fa lo stesso e mi offre un ottimo rinfresco. Lascio la simpatica compagnia e arrivo al check point di Alston appena dopo la mezzanotte.

Consegno il GPS che ho trovato e, dopo quattro ore di letto e doccia rigenerante, sono pronto a ripartire.
L'entusiasmo è forte, perché è in questo tratto che avevo pianificato di accelerare il ritmo e finalmente è arrivato il momento. È giovedì mattina.

-Segue-



Pub Tan Hill Inn

Davanti al Pub Pub Tan Hill Inn

Si è sciolta un po' di neve al Pub Tan Hill Inn
264 è il pettorale del mio socio giapponese che è entrato nel
pub una decina di minuti prima di me.

Appena prima di Dufton mentre consulto le mappe.
Tempo d i congedarsi dal sole prima di salire a Cross Fell


Uscita dal rifugio Greg's Hut per il secondo piazzato del momento,
il giorno prima del mio passaggio
Greg's Hut al tramonto
                                   

Verso Cross Fell sotto il centro studi

Probabile Cross Fell












giovedì, gennaio 30, 2020

Spine Race 2020 - seconda parte

Uscito dal CP1 comincio ad avere buone sensazioni per quanto riguarda il prosieguo della gara. Mancano ancora più di duecento miglia, ma nel corso della giornata ho preso contatto con molti elementi della gara e mi sembra di cominciare a capirci qualcosa.
Sul Bogs successivo un paio di atleti mi pressano per andare più veloce. Li lascio passare ma al bivio successivo si fermano, consultano mappe e gps prima di prendere una decisione sul dove andare. Ecco questo stop and go è il modo in cui proprio non voglio andare. Li supero e cerco di distaccarli. Ad un bivio seguo una freccia gialla senza consultare il gps. La lampada degli inseguitori mi conforta e continuo a forzare. Quando poi controllo il gps (troppo tardi) l'amara realtà è di essere finito fuori traccia. Alle spalle non c'è naturalmente più nessuno e le frecce gialle che ho seguito indicavano un altro sentiero. Torno indietro con la coda tra le gambe, ma perlomeno incontro un terreno un po' corribile. Presto raggiungo un nuovo corridore che stranamente vuole parlare. Mi dico perché no, è notte, un po' di calma e di dialogo mi distolgono dalla sonno. Il mio nuovo socio riesce a navigare molto bene così che non mi pesa più di tanto camminare invece di correre. Quando, però, ritornano interminabili Bogs, mi tocca rallentare e così rimango da solo fino all'alba di lunedì. Qui mi accorgo che senza dormire non vado da nessuna parte. Troppo lento, troppa fatica e molto facile sbagliare la navigazione. In una stalla diroccata mi siedo e faccio un pisolino di qualche minuto. Quando mi sveglio riprendo molto bene. Ora mi trovo nel territorio delle fattorie. Piccoli villaggi, muri divisori da passare nei punti giusti e tantissimo fango. Una quantità esasperante che l'organizzatore ha pensato bene di ravvivare, nei punti più bastardi, con cartelli tipo "Sorridi, ricorda che hai pagato per questo". Perlomeno col sole la navigazione è molto più semplice. In una fattoria una troupe di ITV mi ferma per un'intervista che concedo volentieri.

Incontro diversi cambiamenti di percorso che l'organizzazione ha dovuto effettuare per il troppo fango. Li accetto molto volentieri perché di solito sono su strade asfaltate e lì riesco a correre bene.
Il sole è solo una piacevole parentesi e per il pomeriggio è prevista acqua, molta acqua.

Riesco appena a raggiungere il checkpoint 1.5 di Malham Tarn che sta inbrunendo e un signor temporale che avanza.  Qui decido di dormire. Mi mettono a disposizione uno scantinato. Gli altri soci che sono già dentro non riescono a dormire ed escono appena comincia a piovere. Così ho lo stanzino solo per me e riesco a dormire quasi due ore. Quando mi sveglio, però, il mio sacco a pelo è in mezzo all'acqua, lo stravento ha fatto entrare della pioggia. Però ora ha smesso e bello riposato decido di ripartire.

La strada verso il CP2 di Hawes è ancora lunga, ma già so che la salita di Penn-Y-gent è stata tagliata per il troppo vento. Prima però c'è la salita verso Fountain Fells, che con la luna piena e un sentiero ghiaiato sembra quasi troppo bella per essere vera. Parliamo di salite di 300/400 metri di dislivello.
La realtà della Spine torna prepotente in cima con la discesa. Nebbia, un vento che mi tocca mettere  gli occhiali da sci e un fango dove è impossibile rimanere in piedi. Bestiale. Sulla diversione di Penn-Y-gent, invece vado molto bene. Però la strada alternativa non ce l'ho sul Gps e i cartelli che hanno messo (forse tre in 5 km) mi mettono più di un dubbio. Aspetto che arrivi qualcuno da dietro e un veterano (4 volte al via) mi conferma la via. Un breve ristoro notturno in una palestra e via verso Hawes. In mezzo, però, ci sono ancora da passare i Three Peaks. Che altro non sono che tre collinette, ma immerse nei Bogs.

Come mi capita spesso in queste zone, mi trovo da solo a gestire la navigazione. Le batterie del Gps si scaricano. Il display però rimane acceso e la posizione dice che sono in traccia, solo che non si aggiorna. Posso andare dove voglio che sono sempre in traccia.
Ad un certo punto mi trovo in una piccola giungla in mezzo a canali d'acqua e le lampade che mi seguivano sono tutte spostate a sinistra. Ho sbagliato ancora la navigazione e solo ora mi ricordo che con le batterie scariche il Gps non aggiorna la posizione. Non mi trovo in un ambiente in cui è comodo cambiare le batterie del Gps, così provo a correre a dietro alle luci in lontananza. Riesco a raggiungerne un paio, ma non gradiscono che qualcuno segua senza navigare. Così o accelerano o si fermano. Provo a dialogare, ma nessuno vuole parlare. Intanto si è alzato un gran vento che non me la sento di stare senza Gps. Faccio una gran fatica a cambiare le pile con le mani nude, che ora non funzionano senza guanti.  Finalmente il gps si riaccende, e anche se ora sono solo, posso di nuovo navigare autonomamente.

Seguo un cartello ad un bivio ma non sono in traccia. Strano. Vedo una lampada sotto e vado lí. È un giapponese che mi dice che ha freddo e non riesce a trovare  la via. Ha un Gps da polso con uno smartphone. Con un'attrezzatura del genere non dovrebbe essere neanche in gara. Gli dico che è meglio seguire il cartello e poi vedere. Dopo un po', infatti, il Gps ritorna in traccia e possiamo continuare con meno patemi.
Arriviamo finalmente al CP2 di  Hawes alle 6:26 del mattino di martedì ed ho voglia di dormire. È quasi chiaro, ma un po' di sonno con una doccia mi rimettono in sesto.

Dopo aver regalato alla branda due ore di navigazione con la luce, riparto alle 10:30 die marterdì con un cielo carico di nubi e pioggia. Tornerei volentieri a letto. Le previsioni dicono pioggia e neve fino a mercoledì. Eppure all'inizio viaggio molto bene, vento leggero, qualche goccia e no. Salitella con un po' di sassi. Tutto facile fino al plateau. Qui parte, come al solito, il classico vento micidiale da cresta e la pioggia diventa subito neve (lo "storm Brendan"). Fino a quando non trovo un riparo, non riesco a mettermi i guanti pesanti e gli occhiali da sci. Certe condizioni bisogna prevenirle.

La pioggia continua incessante fino al pomeriggio. Ad un certo punto metto le mani in tasca per rimettermi i guanti pesanti, ma con mia sorpresa ne trovo solo uno. Ottimo mi dico, continuo a cadere sull'erba, sono sempre dalla parte sbagliata del muro da scavalcare, e sopratutto, c'è ancora tutta la notte da affrontare con questo tempo da lupi. Ed ho un solo guanto pesante.

- Segue - 

Bogs

Tempesta "Brendan" che non promette nulla di buono
per i primi giorni della gara

Non è mancata la neve in cresta

Acqua! Martedì appena prima di Thwaite

Sopra neve, sotto acqua


sabato, gennaio 25, 2020

Spine la gara - Inizio

Arrivo a Manchester di venerdì, fila all'aeroporto e nella stazione dei treni devo imparare a prendere quello giusto, quello che mi porta al mio alloggio nel paese che si chiama Hope, Speranza, vicino al paese della partenza Edale.
Nella breve passeggiata verso la mia camera al pub Cheese Inn una macchina si ferma e mi chiede se voglio un passaggio fino a Edale. Ringrazio, ma dico che mi fermo qui a Hope. Interessante che da queste parti siano le macchine a chiedere ai passanti di salire. All'ora di cena al pub arriva una delegazione della gara, tra di loro anche una troupe televisiva giapponese che seguirà i partecipanti del sol levante.

Il sabato è il giorno del check-in. Vado a Edale a piedi per vedere un po' come sono le vie da queste parti. Salitelle su vie ben solide di prati, ma quando arrivo in cima alla collina incontro per la prima volta il vento inglese che regna incontrastato su queste creste. Una sventagliata non da poco, tanto per chiarire che se mi aspettavo una campestre stile arginelli bredesi, qui mi devo ricredere.
Al controllo devo mostrare 9 elementi obbligatori. Quando mostro i miei pantaloni per la pioggia inov8, che sono in linea teorica da regolamento, mi chiedono se veramente voglio usarli in gara. Dico perché no, quando piove me li metto e poi li tolgo. La ragazza del controllo scuote la testa e dice che questi pantaloni nel giro di mezz'ora si rompono. Dico va bene ne terrò conto ed userò quelli più robusti. Foto di rito, mi attaccano il tracker e mi dicono che sono ufficialmente in gara.

Al briefing  l'organizzatore parla della difficoltà della competizione, che l'elemento principale di difficoltà è il meteo.
E che quest'anno non sarà un eccezione.

Domenica la partenza alle 8 da Edale. Ci arrivo accompagnato dal titolare del pub, che dopo dieci minuti di auto mi lascia al mio destino. I dubbi dei giorni precedenti sul come vestirmi sono chiariti subito dal meteo: pioggia e vento. Quindi giacca e pantaloni gorotex e calze resistenti all'acqua. Alle otto la luce del giorno è abbastanza per non usare la lampada. Parto in fondo al passo. All'inizio ci sono dei pezzi facili, ma non mi smuovo dal cammino. Mi dico che in 268 miglia (431 km)  ce ne saranno dei pezzi da  correre. L'inizio non è uno di quelli. Penso in miglia perché sono meno e con i numeri in chilometri, tipo quattrocento, faccio fatica a realizzare.
L'inizio è veramente difficile. Mi sento estraneo alla gara, piove cammino su una salita fangosa e scivolosa. Vento, nebbia il serpentone davanti che tira e molla per non perdere quello davanti che indica la strada. Neanche due ore di gara e mi chiedo cosa sto facendo qui. Poi il terreno cambia ed incontro per la prima i "bogs" (biotopo o torbiera). Questo primo pezzo è tutto coperto da pietroni di granito. Mi dico bene, qui posso correre e tac finisco in terra. Nel giro di mezz'ora riesco a cadere tre volte su questo tipo di percorso. Il tizio della fila indiana che mi sta dietro se la ride e mi dice di stare attento. Al momento non ho capito nulla di questo posto e cerco di rimanere in piedi.

Finisce di piovere e il terreno diventa più amico. Decido di accelerare un po' per vedere se riesco ad andare da solo. Il gruppo col quale sono stato fino ad ora è quello dei camminatori hard-core, di quelli che non correranno mai.
Il primo impatto con la navigazione non è male, un occhio al gps ogni tanto e riesco ad andare bene. Le vie, però, sono coperte da nuovi corsi d'acqua creati dalla pioggia ed un guado chiama l'altro. Un tizio che mi trovo davanti prova a sondare un canale. Gli chiedo cosa sta facendo. Mi risponde che cerca il punto meno profondo. Saluto e tiro dritto nel canale con l'acqua che mi arriva alla coscia mostrandogli un passaggio che non sceglierà mai. Penso che il tizio sia ancora là a sondare.
Sono contento delle mie calze resistenti all'acqua, anche con passaggi profondi come questo il piede sta bene. La corsa, una natura spettacolare come non avevo mai visto e strade a volte semplici, mi mettono di buon umore ed in sintonia con la gara.

Verso le 16 la luce diurna cala e mi devo preparare per il buio. Nelle ultime ore sono sempre andato del mio ritmo e per questo sono stato quasi sempre da solo. Così mi sono confrontato con la navigazione, che, su un percorso non segnato, è fondamentale.

Sono davanti ad un paio di corridori e al rifornimento acqua faccio un pausa. Chi mi segue non fa la pausa al rifornimento e così mi ritrovo al primo buio da solo senza riferimenti in un posto che non conosco minimamente. Massima fiducia nel gps e nelle mie mappe, che in totale sono 135, e avanti.
All'inizio mi oriento facilmente, poi scende un nebbione e raggiungo un posto che si chiama Black Stone, la roccia nera. Roccia nera ovunque nella nebbia. Non vedo sentieri, calpestii, solo pietre nere di varie forme. È veramente impegnativo tenere un ritmo decente, la via sulla mappa e sul gps è dritta, quindi facile in teoria, ma l'ambiente è da panico. Mi raggiungono da dietro ma ormai il peggio è passato.

La strada diventa facile da seguire, abbastanza corribile e il primo check point a Hebden è solo questione di pochi minuti. Ci arrivo alle 23:29 un'ora che è nella media, forse un po' lenta.
Ritrovo la mia borsa, che mi seguirà in tutti i prossimi checkpoints principali, con tutti i vestiti a disposizione. Cambio le mappe, mangio qualcosa e via subito verso il secondo checkpoint senza dormire.

- Segue - 



Percorso completo della Spine Race.
Partenza da Edale e arrivo a Kirk Yetholm


Passaggio nel bog dei primi due: Kelly e Rossello

Dettaglio dei pietroni di granito messi nel biotopo


Prima salita

Appena partiti



Video creato dalla troupe Giapponese

lunedì, gennaio 20, 2020

Spine Race 2020: well done!

Bericht auf Deutsch here.

Arrivo con Antonio 
200 miglia appena passate
Dopo 138h:48':37" ho terminato la Spine Race 2020 in 23-ema posizione uomini (27 generale). Gara ben oltre le mie aspettative che mi ha sorpreso per la difficoltà del terreno fangoso, pioggia, neve  e con condizioni di vento alle quali non avevo mai avuto a che fare.
Totale di 63 finisher, 83 ritirati durante la gara e 16 non si sono presentati al via.

Un resoconto completo segue.



Video dell'arrivo venerdì notte


Intervista sul muro di Adriano, dopo 200 miglia, giovedì


Uscita dal CP4 in Alston


Reportage della tv Giapponese