domenica, novembre 02, 2014

Wien Rundumadum, ultra trail sottocasa


Navigazione fatta in casa, basta per non perdersi nella nebbia?
Al traguardo
Foto con medaglia e bottiglia
Ho appena terminato il mio terzo ultra trail sopra i cento chilometri per questo 2014 che sta per finire. Questa volta sui sentieri di casa attorno a Vienna. Giro da 124 km, 1600 d+ con nebbione padano finale incluso, terminato in 15h:28' per un tredicesimo posto finale.

Dettaglio
Vediamo allora come è stato questo ultra trail intorno a Vienna, che era alla sua prima edizione. Dopo una sveglia ad un orario veramente indecente, mi sono avviato alla partenza, dall'altra parte della città, con la consolidata coppia bici e metropolitana. Qui ho incontrato quello che è rimasto della festa di Halloween, ma in una grande città tutto è possibile sul treno alle cinque del mattino, dal tizio che si presenta ad un ultra trail, a quello che gli scoppia la testa, a quello che vestito in kimono guarda cartoni giapponesi alternativi sul cellulare. Mondi paralleli con in comune solo la poca normalità.
La partenza e l'arrivo del "Rundumadum" sono stati collocati in una palestra, qui ho incontrato molte facce conosciute e tutti gli altri del mio gruppo sportivo. La prima novità l'ho scoperta al breefing pre gara, quello che di solito si partecipa ma non si ascolta, vale a dire che in un tratto finale in mezzo alla campagna non è stata messa la segnalazione sul percorso. Perché? Il proprietario non ha voluto. "Wien ist anders" questo è il motto della città, "Vienna è diversa" e anche nel marcamento del percorso non si è smentita. Questo trail è stato il mio terzo centone in tre mesi, che cosa potevo chiedere ad una gara del genere? Finire in un tempo tot perché ho fatto una preparazione tot? L'ultimo allenamento più lungo di due ore, che non sia stato una gara, l'ho fatto due mesi fa. Ma per fortuna a me non serviva la tabella degli allenamenti mancati, ma solo stare bene alla partenza. Entusiasti siamo partiti alle sette con una leggera nebbia che stava lasciando il posto al sole. Dopo qualche chilometro in riva al canale Marchfeldkanal, ho affrontato la  prima salita vera, quella del "Nase", tosta ma breve. Vienna è piena di gente che millanta tempi di salita impossibili, ma non sono stato purtroppo tra questi in quanto è stata la prima volta che l'ho affrontata. Dopo è arrivata una parte molto piena di saliscendi nel bosco viennese. Anche in gruppo, non sempre è stato facile non perdersi. Qui è apparso il primo dei cinque ristori previsti, che non erano molti ma prelibati. Verso il km 40 mi sono trovato da solo e qui ho deciso di cambiare marcia. Era il pezzo del Lainzer Tiergarden, quello dove lo scorso anno vi ho corso l'ultima edizione del leggendario omonimo trail. Finito questo tratto con qualche bella rampa tosta e sempre su bei sentieri, sono arrivato nella zona Liesing, il fiume che scorre davanti a casa mia. Qui trovare la strada prevista è stato abbastanza problematico, ma non potevo perdermi qui. Risolti i problemi di pesantezza al checkpoint successivo nel parco del Wienerfeld, sono arrivato sull'isola sul Danubio dopo essere passato davanti al cimitero e sulle colline di casa di Oberlaa,  prima che si è fatto buio. Qui è iniziata un'altra corsa, quella alla ricerca della via che mi doveva portare fuori dal bosco della Lobau pieno di sentieri sconosciuti e poche indicazioni. Ho trovato la scia di un corridore con bici al seguito che gli faceva da apri pista col gps. Ma  questa cuccagna è finita presto e mi sono trovato da solo nel buio e nella nebbia. Qui un fantomatico ciclista, penso sia stato reale, è apparso e mi ha guidato fino al successivo ristoro. Ora avevo davanti solo gli ultimi trenta chilometri che ho affrontato con la cartina del percorso in mano. Una volta arrivato, sempre in solitaria, al famigerato campo senza cartelli e vie, non ho potuto far altro che costatare di essermi perso. Sulla carta era mostrato un piccolo bosco davanti su una strada curva e invece ero su una carraia dritta in mezzo ad un campo di fragole, immerso in un nebbione padano che non si vedeva a venti metri. Scartata l'idea di sedermi a piangere, ho estratto il mio GPS e, come da manuale, mai veramente usato prima per navigare, ho cercato di tornare sulla retta via. Risultato: mezz'ora di avanti e indietro, schermo appannato che non si vedeva nulla, ma come per magia sono rientrato sul percorso segnato. Qui ho incontrato due corridori erranti, dove uno, una faccia conosciuta, avrei scommesso, vista l'ora, che avesse già tagliato il traguardo. In tre, però, è  stato un gioco da ragazzi trovare la strada e, con le dovute pause, siamo arrivati alla fine appena prima delle 22:30. Abbiamo avuto anche l'onore di ricevere la medaglia d'oro per quelli che sono rimasti sotto le diciotto ore, nonché la bottiglia di vino con l'etichetta "Wien Rundumadum", cimelio per tutti quelli che sono arrivati in fondo. Su 105 partenti, ben quaranta hanno gettato la spugna prima del traguardo rinunciando di fatto al prestigioso nettare.

Conclusioni. "Wien Rundumadum" è un ultra trail con poco dislivello, poco asfalto, ristori non fitti, in data più che autunnale e segnaletica minimale. Probabilmente l'unica possibilità per correre una gara del genere attorno a Vienna. Il minimalismo è stato un altro modo per rendere la gara un po' più impegnativa che alla fine ho apprezzato. La traccia del percorso è qui.

Cambio vestiti a metà percorso VS3

Segnali lungo il percorso

Isola sul Danubio - Inizio
Fine "Nase", Checkpoint 1

domenica, ottobre 12, 2014

E ora?

Campagna di Oberlaa, circa a metà percorso
Dopo aver concluso una gara come la MMT100 mi verrebbe voglia di chiudere la carriera qui. Invece, una corsa che mi è stata suggerita dagli amici Freunde des Laufsports  mi ha fatto ripensare. Così il primo novembre, se tutto va bene, sarò al via del giro attorno a Vienna, denominato Wien Rundumadum, 120 chilometri sui sentieri di casa per terminare la stagione.

lunedì, ottobre 06, 2014

Magredi, debutto nella gara da cento miglia

Vendo scarpe, usate una sola volta
Appena tornato da Vivaro, provincia di Pordenone, dove ho partecipato alla mia prima gara di corsa in montagna da cento miglia (MMT 100).
Per percorrere tutti i 158,1 chilometri previsti dall'organizzazione e 7700m di D+ ho impiegato un tempo di 35 ore 53 minuti e zero secondi di sonno, conquistando la 52-ema posizione finale. Dei 158 partenti, l'elenco dei corridori che hanno raggiunto il traguardo si trova qui.

Si parte
Finalmente è arrivato il giorno della partenza. Helmut col suo bus VW classe ottantotto  mi chiama poco prima delle 7 e mi dice che tra un attimo passerà a prendermi. Destinazione non Woodstock ma, inutile dirlo, il Friuli Venezia Giulia dove entrambi debutteremo in una gara da cento miglia. La giornata coi suoi colori autunnali è splendida mentre la nebbia, man mano che scorrono i chilometri, cede il passo al sole. La strada vola via veloce e, tra uno scambio di esperienze di questa o quella corsa, il casello autostradale di Gemona arriva in un attimo. La campagna e i campi di mais mi riportano alle origini di uomo della bassa pianura, mentre accendono non pochi dubbi negli occhi del mio autista austriaco. "Ma dove sono le montagne?" mi chiede e gli rispondo "guarda quanti prosciuttifici ci sono in questo paese". Arriviamo da Gelindo, l'agriturismo di Vivaro, che ai tavoli del ristorante  stanno già sparecchiando. "Se volete una pasta mettevi comodi e intanto che aperitivo volete?" ci dice il titolare. Veramente volevano solo sapere dove potevamo piantare la tenda, ma siamo già qui e non possiamo certo rifiutare l'invito. Con la pancia piena e un'ora di bella tavola alle spalle,  provo a mettere un po' d'ordine nel materiale che mi servirà al via della gara. Ritiro pettorale, controllo zaino tutto in ordine, consegno le sacche che ritroverò alle basi vita. Seduto in terra con un foglio in mano, provo a leggere le istruzioni per montare la tenda. Helmut prima mi fa una foto, poi mosso da compassione me la monta in cinque minuti. Chissà se la userò davvero, il tempo limite della MMT 100 è fissato per le 15 di domenica, un orario dove dovrei già essere in autostrada sulla via del ritorno. Al breefing pregara sembra tutto facile e i punti segnati in rosso entrano in un orecchio per uscire subito dall'altro. Al nastro di partenza mi metto in fondo, ma questo non impedisce ad un gruppo di chiedermi se sono io quello che ha vinto la gara lo scorso anno. Per carità, sono un debuttante, però lo scambio mi fa piacere, vuol dire che almeno potrei sembrare uno che vince.

 La gara inizia 
Non ho ancora sistemato bene promettenti gels comprati all'ultimo minuto e mai testati come da manuale, che viene dato il via. Sono le 18 e qualcosa e il sole si avvia a tramontare. Alla prima curva comincio già a perdere i gels, ma il servizio scopa mi aiuta a raccoglierli. Simpatici questi ragazzi del servizio scopa, quattro corridori in coda che cercano di alleviare la solitudine dell'ultimo viandante. Approfitto a mani basse e mi faccio raccontare tutto su quello che mi circonda perché dove sto correndo è un paesaggio davvero unico. Dal mais ai vigneti, dal Tocai che ora si chiama Friulano al dialetto locale che viene ancora usato spesso. Mi consigliano di accelerare il passo se voglio arrivare in tempo al primo cancello orario e così comincio a risalire qualche posizione. Ad un certo punto trovo due persone legate con una corda, non riesco a crederci, un cieco con un accompagnatore sta correndo questo ultra trail. Il bello è che mentre parliamo, sarò inciampato almeno un paio di volte mentre lui niente. Gli chiedo come fa e lui mi risponde che è perché io non melo aspetto di inciampare, mentre lui sempre. Saluto e con la lampada frontale accesa passo avanti. Attraverso il secco letto del fiume Cellina, una bella pietraia spaccapiedi e al primo ristoro incontro Dieter. Un simpatico personaggio che ha già corso la MMT lo scorso anno, tenta di farmi qualche domanda sulla mia professione, ma lo dirotto subito sul racconto di qualche ultra precedente. Quando mi dice che come me non porta l'orologio e ha partecipato ad una gara come la WIBO, lo eleggo a mio personale eroe.

La prima notte
Comincia la prima vera salita e dalle distese di sassi si passa a sentieri stretti ed esposti. Sono in un ultra trail, ma ora sto correndo come una corsa in montagna da quattro chilometri. Dieter procede del suo passo tranquillo mentre raggiungo una lunga fila indiana alla quale mi accodo. Mi ha parlato molto della seconda notte, ma, pur non avendo nessuna ambizione in termini di tempo finale, non riesco proprio ad immaginarmi che dovrò affrontare due notti.  Passo il ristoro gestito dagli alpini col morale alto, ormai la prossima tappa sarà la meta della prima delle quattro basi vita nelle quali ho suddiviso il percorso. Prima di raggiungere Piancavallo però, devo affrontare lunghi sentieri stretti con sali e scendi esposti, terreno che francamente faccio fatica a digerire. Per fortuna sono con un gruppo che conosce la strada e procede con ottimo passo. Prima di lasciarmi andare al buffet stile "all you can eat" del ristoro della famosa stazione sciistica, c'è tempo anche per un giro di presentazioni.  Riparto nello stesso gruppo ma quando cominciano le discese ripide e tecniche non riesco più ad andare. Sono alla prima gara coi bastoni, ma quando li uso per controllare la discesa, cado all'indietro. Lascio andare messaggi telepatici cercando, invece, di trattenermi in un diplomatico no comment quando un altro trailer mi chiede com'è questa discesa che mi dovrebbe condurre al lago Barcis in uno stato tutto da definire. Altra caduta, altri messaggi telepatici. Messaggi che poi verranno trasformati in voce udibile qualche ora dopo nella cucina del ristoro di Pofabbro. Chi ha mangiato lì una pasta verso mezzogiorno, può intuire quale fosse la natura di questi messaggi. Finalmente arrivo in solitaria al lago Barcis e non so il perché, ma sono convinto che qui ci deve essere un ristoro. Vedo le tracce del percorso che mi mandano sul sentiero del Dint e decido di seguirle mestamente. Ho letto, qualche giorno prima, che questo sentiero è molto battuto dagli escursionisti, così, finalmente, mi dico ecco un sentiero senza burroni, pietraie o discese da uomo ragno dove un uomo della città come me, può lasciare andare un po' le gambe senza paura. Invece, senza nessun preavviso,  la mia lampada frontale si spegne di colpo e mi lascia in un buio terrificante in mezzo al bosco. Devo cambiare l'accumulatore, ma chi lo trova quello di scorta nello zaino con questo buio? In qualche modo, passando dalla lampada di riserva, riesco nell'operazione e, sempre col dubbio di aver saltato un ristoro, raggiungo l'edificio della stazione di Andreis. La voglia di farmi  un paio di grappe è tanta, ma vorrebbe dire la fine, allora, dopo un ottimo spuntino, saluto e riprendo il cammino con la certezza di essere passato per la giusta strada. Ora è notte fonda, il morale non è alto ma il profilo del percorso sembra aprire spazio a qualche possibilità per continuare. Non è tanto la salita che mi deprime, ma è la discesa. In salita devo gestirmi c'è troppa strada da fare per poter solo pensare di correrle, ma quando poi arriva la discesa mi trovo davanti a dei sentieri che mi bloccano. E così mi capita anche in questo pezzo e in tutti i pezzi di discesa successivi fino a Casera Valine Alte. Non mi sto proprio divertendo, sembra di essere ad una gara di nordic walking e penso seriamente che questo tipo di sentieri siano troppo difficili per il mio livello. Le ore passano, la stanchezza aumenta e nulla cambia tranne la notte che sta per finire.

Il nuovo giorno
Abbandonare? È questa la domanda che mi pone Patrice quando lo incrocio qualche ora dopo al ristoro di Pofabbro, ma questa non è opzione è stata la risposta che gli ho dato. Che cosa mi ha fatto cambiare idea così? Semplicemente la notte è finita, i sentieri di pietre anche, e il piccolo pezzo asfaltato in discesa fatto a tutta con la lampada frontale ormai spenta  mi hanno elettrizzato. Entro nel ristoro di Maniago grosso modo alle sette di mattina  e chiedo dov'è la musica. Ho una fame da lupi, non mi fa male nulla e non ho sonno. Provo anche a miracolare due abbattuti corridori che hanno dei dolori che non li fanno neanche camminare, ma come guaritore valgo nulla e Maniago sarà per loro la stazione finale. Con la carica del nuovo giorno affronto la salita successiva, con annessa discesa, non con un gran ritmo, ma con buona sicurezza. Ora sono in scia ad un veterano di questa gara che mi guida, e anche mi aspetta, fino al ristoro di metà gara situato a Pofabbro. Secondo il rilevamento cronometrico, impiego 16h:27' reali per percorrere i primi ottanta chilometri, tempo percepito, invece, due giorni. Ma oggi non è giornata da giri intondo col tempomat, così dopo un ottimo pranzo in base vita, ringrazio e proseguo il mio cammino. Passato indenne l'abbiocco post digestivo che quasi mi addormentava, ritrovo percorsi, come una forestale piatta o asfalto in paese, che mi danno fiducia, tanto che al ristoro di Fanna mi concedo un vinello. Verso Casasola un'altra crisi d'identità, appena pensavo di essere finalmente entrato in gara ecco che devo smettere di correre. Lentamente arrivo al paese e approfitto della fontana in piazza piena di acqua fresca per un bagno tonificante agli arti inferiori.  Sono a Casasola e, dopo il ristoro, inizia il pezzo più duro di tutta la gara. Mi chiedono se non ho corso già lo scorso anno, rispondo di no, ma che non è la prima volta che mi scambiano per qualcun altro. Non so se sia stato il ristoro, la fontana, la musica che ho appena acceso o la bellezza della montagna, ma approccio la salita del monte Raut veramente convinto. In cresta e in discesa verso Casera Valine sono ancora di gesso, ma i pensieri di abbandono sono definitivamente interrati. Per la cronaca, ho impiegato più di tre ore per un tratto dato sulla carta di una lunghezza di soli 5,4  km. Nella casera il gestore, tra un uovo sodo e un brodo, mi consiglia di dormire alla prossima base vita e di riprendere con calma con la luce del sole. Gli rispondo che non ho ancora dormito un solo secondo e che intendo continuare così, una sfida che mi affascina. Saluto e proseguo il cammino in discesa col solito ritmo rassegnato mentre è arrivato il momento di riaccendere la lampada frontale.

La seconda notte
Qui qualcosa nella mia mente deve essere successo, perché dopo venticinque ore di gara comincio a correre senza paura in discesa, smetto di usare i bastoni, come mi aveva consigliato Helmut, e provo a scendere a tutta. Recupero man mano posizioni poi quando arriva il tratto in falsopiano e asfaltato passo alla corsa decisa. Ritmo che non mollo e non voglio mollare, mancano almeno dieci ore all'arrivo, ma corro con la rabbia di una mezza maratona. Arrivano le gallerie, nella prima indosso la giacca impermeabile ma appena finisce la tolgo con l'idea di avere indossato un indumento inutile. Arriva la seconda e mi rifiuto di indossarla di nuovo, così mi ritrovo in mezzo ad una galleria dove piove a dirotto. Bagnato ma tranquillo, raggiungo in solitaria il ristoro sulla diga. Chiedo in dono ancora un po' di strada asfaltata, ma il gestore del ristoro mi risponde che ora comincia un bel sentiero in single track di una decina di chilometri prima di arrivare alla terza base vita. Poi mi porge un tè caldo. Ringrazio e riprendo lungo il sentiero. Vado a tutta cercando di correre sempre e mi chiedo, per l'ennesima volta, perché ci riesco solo ora. Appena prima della base vita ritrovo Dieter che col suo passo costante da ultra navigato mi aveva raggiunto e staccato nettamente. Mi dice che alla base vita dormirà un'oretta per arrivare bene al traguardo, gli rispondo che non sento assolutamente la stanchezza e vorrei continuare ad andare a tutta. Pienamente rifocillato alla base vita, dopo 29 ore di gara, sempre senza sonno, mi aspetto prima o poi una crisi, che però non arriva. Se capita, mi consiglia il gestore del ristoro, stai in piedi e abbraccia una pianta. Ringrazio del consiglio e riprendo il cammino. In questo tratto è la vegetazione a farla da padrone. Sul lato della strada potrei giurare di aver visto un gruppo di gnomi che se la ridevano di gusto, prima di trasformarsi in foglie quando li ho affiancati. Allucinazioni? E cosa dovrei dire di quelli che raccontano, me compreso, che dopo trenta ore di corsa, al ristoro dicono di vedersi serviti un piatto di pasta fumante dal vincitore della Spartathlon della settimana scorsa?
Affronto l'ultima salita ad un ritmo blando fino a quando non intravedo una lampada che corre in salita. Allora provo a tornare ancora al ritmo precedente la sosta e, complice una bella strada sterrata piatta, ritrovo un ottimo passo. Qui finisco anche la mia seconda carica della lampada frontale e devo passare a quella di riserva. La discesa fino a Borgo del Bianco non è un gran problema e quando appaiono le prime case del paese vengo bloccato da una signora che mi invita ad entrare nelle sede del ristoro.
Dopo un ottimo spuntino con bevuta saluto la simpatica compagnia e scendo verso Colle, prima però devo passare in mezzo al fiume Meduna ritrovando le solite pietre e qualche passaggio in mezzo ai rovi. A volte mi viene il dubbio che si voglia quasi infierire con la durezza del percorso. A Colle c'è l'ultimo ristoro della gara, qui raggiungo due corridori che sono in procinto di ripartire. Non mi danno l'impressione della massima freschezza e mi sembra che cammineranno fino all'arrivo. Allora la prendo comoda e, tra una bevanda e l'altra, faccio i miei complimenti per come è stato segnato il percorso. Anche qui mi chiedono se non sono quello che ha vinto lo scorso anno, ma qui citando l'ora attuale del passaggio ho un argomento decisivo che convince tutti del contrario. Ringrazio della cordialità prestata e riparto verso il greto del fiume.
Dopo pochi minuti ritrovo i due corridori di prima che cercano la via verso Vivaro. Li conforto dicendo che siamo sulla giusta via e vado avanti sempre di corsa. Gli ultimi chilometri scorrono in un attimo e quando vedo il campanile di Vivaro capisco che la mia gara sta per volgere al termine. Una grande emozione mi assale prima della foto e di ricevere la giacca. Mi chiedono se sto bene, rispondo che certo mai stato meglio e subito dopo suonano le sei.

Il ritorno
Mi sono seduto a quindici ristori senza mai nessun problema, a quello dell'arrivo, invece, appena finisco la minestra quasi mi addormento sul tavolo, a fatica riesco a salutare due soci incontrati spesso lungo il percorso e quando mi alzo ho le gambe bloccate. Mi piacerebbe sapere dove si trova l'interruttore che accende e spegne il proprio corpo, poi magari però le corse diventerebbero solo un noioso gesto meccanico.
Dopo qualche ora di sonno arriva, purtroppo, il momento di levare le tende. Il bus si rimette in moto, questa volta nella direzione inversa. Helmut, nonostante la caduta e un ginocchio mal messo, ha raggiunto il traguardo nei primi venti, riposato abbastanza per concedersi anche altre sei ore di volante.
A Vienna termina così uno splendido week-end, che sarà veramente difficile da dimenticare.

Dopo la partenza al fianco della Scopa

In coda con la bici che guarda le spalle

Secondo dei quindici ristori previsti, con Dieter

A pochi metri dal traguardo, dopo quasi 36 ore

Con la maglia da finisher




venerdì, settembre 26, 2014

Materiali: IN e OUT in vista dell' MMT 100

Mancano pochi giorni alla mia partenza per il Friuli Venzia Giulia (MMT 100) e voglio fare un po' il punto della situazione sul mio materiale. La gara MMT 100 ha una lista con materiale obbligatorio e fra questi c'è lo zaino. Quindi rispetto alle scorse competizioni, IN sarà lo zaino Ultimate Direction SJ da 9L e OUT saranno le bottiglie a mano. Confermata la lampada frontale Ay up, mentre per quella di riserva userò la rodata Petz Zipka Plus 2. In questa categoria, la nuova entrata IN sarà una batteria di riserva per AyUp. Sono sempre stato scettico sull'uso dei bastoni, ma già dalla prima uscita ho cambiato subito idea e IN ci saranno, allora, anche un paio di bastoncini Black Diamond Ultra.
Un capitolo a parte lo merita le scarpe. Ho viaggiato fin dall'autunno 2013 con le Inov8 trailroc 243 in tutte le gare che ho corso fuori dall'asfalto. Mi sono trovato sempre molto bene, ma dopo il Dirndltal ho dovuto cambiarle in quanto mi hanno lasciato dei piedi spappolati nel dopo gara. Ho bisogno di più confort nelle gare lunghe, specialmente quando le ore di gara superano la decina. Allora OUT le  trailroc 243 e IN le Patagonia Everlong che hanno lo stesso peso, non lo stesso grip e la stessa flessibilità in punta, ma hanno molto più ammortizzamento sull'avanpiede.
Capitolo orologio e Gps. Al Dirndltal ho usato il sole in quanto il mio Garmin 305 non riesce a stare acceso per più di otto ore mentre la strada già la sapevo. Ho guardato vari modelli della Garmin e Sunto, che offrono degli orologi adatti a gare di trail lunghe, ma non mi hanno convinto in quanto sono pesanti e costosi. Il gps, al limite, mi interessa per una navigazione d'emergenza e per vedere la strada che ho fatto alla fine della gara, mentre la velocità di crocera in montagna, così come il valore del cuore,  non mi interessano. Ho trovato IN un gporter gp102 che, come gps logger mi va bene anche se, purtroppo, ha solo un'autonomia di 15 ore senza possibilità di cambiare la batteria, autonomia testata personalmente un paio di volte. Messo nello zaino funziona bene, lo accenderò nella parte finale di gara oppure quando perderò la strada. Per sapere il tempo in gara avevo pensato al Casio F-91w ma probabilmente non lo userò in quanto ha un cronometro che dopo un'ora si resetta e allora per sapere l'ora mi va bene anche il telefonino. Quindi il Casio sarà OUT e confermato il sole, le campane e tutti quelli che mi diranno l'ora.
Come bevanda,  OUT il Tocai in quanto il nome spetta solo al vino ungherese, che non è imparentato con l'omonimo del Friuli Venezia Giulia e IN la birra, bevanda isotonica per eccellenza che spero mi rimetta in piedi nei momenti più difficili. Ho letto da qualche parte che il Tocai si chiama ora Friulano, mi accerterò sul posto.
Per finire, mi ha molto interessato conoscere qualcosa di più della regione dove andrò a correre. IN il libro di Sergio Maldini "La casa a Nord Est", mentre, per un'altra edizione della MMT 100 potrei dare un'occhiata anche a Pasolini e Hemingway due famosi scrittori che hanno lasciato una traccia indelebile nel Friuli. OUT, invece, tutte le tabelle che mi dovrebbero portare a correre la mia prima cento miglia. Dove lo trovo il tempo per seguirle?

domenica, settembre 21, 2014

Anninger, corsa sulla montagna

Sprint finale
 Sabato 20 settembre, in una splendida giornata di sole, mi sono presentato al via della gara in montagna Anninger. Corsa breve, 6 km con 380 metri di salita. Mi ero iscritto anche lo scorso anno, ma proprio dopo aver attaccato il numero alla pettorina, l'ho restituito per problemi al polpaccio. Quest'anno invece è andata diversamente. Alla partenza ritrovo vecchie conoscenze e tra una chiacchiera e l'altra arriva il momento della partenza. Il posto della gara non mi è sconosciuto, si trova a 20 minuti di macchina da casa mia, a Mödling, ed è il posto più vicino nel quale effettuo allenamenti in salita con pendenze significative, anche se il sentiero dove si svolge la gara non l'ho mai fatto. Al via sono partito dietro, anche se eravamo in tanti, ma dopo la gara sulla Rax, ho sempre più la sensazione che quando parto davanti è solo perché non sto bene.
I primi metri sono in discesa, ma con la strada larga raggiungo subito un gruppo che va a buon ritmo. Quando la strada comincia a salire sono entrato nel bosco. Ho tenuto a vista un paio di personaggi che conosco di vista ed hanno passo, di solito, un po' più veloce del mio. Mi è bastato tenere un ritmo costante per raggiungere e superare via via diversi corridori. Alla fine ho avuto anche la gamba per un buon sprint finale che mi è valsa la 18-ema posizione rapinata, con un tempo di 34':31". Risultato abbastanza in linea con la prestazione del 2011 dove, però, si correva dall'altro versante della montagna. La discesa verso la partenza la faccio con una vecchia conoscenza che non vedevo da molti anni, il quale, dopo aver gareggiato nel triathlon e in gare come race across Austria, ha deciso di cercare nuovi stimoli nelle gare di trail.

 Ora mi aspetteranno due interminabili settimane di allenamenti con il freno a mano tirato prima della partenza verso l'Italia, dove correrò la mia prima 100 miglia, con una condizione che, ormai, è quella che è. La classifica finale si trova qui.

Sentiero a pochi metri dal traguardo


sabato, settembre 06, 2014

Corsa sulla Rax e Businessrun

La settimana appena trascorsa ha segnato il mio ritorno alle gare: due in tre giorni. La prima è stata la Businessrun, un evento di massa da 27000 iscritti per correre in tondo 4,1km asfaltati e piatti. Se correre un ultramaratona rimane una questione irrisolta, mi sarebbe piaciuto sapere il parere di un extra-terrestre, che per caso fosse passato sopra il Prater quella sera, sullo spettacolo dei ventisettemila sportivi in divisa sponsorizzati dai propri datori di lavoro. Si parte a branchi, i primi alle 18:45, gli ultimi alle 20. Il mio scaglione, l'ultimo, è partito quando ormai era buio ed è stata, la mia, più una gara di slalom e cross country che altro. Ad un certo punto credevo di essere nel blocco di quelli che corrono telefonando. Penso che l'organizzatore, in futuro, dovrebbe stilare una classifica apposita in quanto ho visto dei gran specialisti. In ogni modo è sempre bello gareggiare in questi eventi di massa, sopratutto l'analisi dopo l'arrivo, nel gazebo del dopogara, dove a base di bevande isotoniche come la birra, ci si scambia opinioni sulla corsa tra colleghi di lavoro.


Arrivo sulla Rax

Due giorni dopo sono tornato a gareggiare sulla montagna della Rax, che nel 2011 mi regalò un incredibile podio di categoria. Questa volta il meteo è stato diverso, pioggia leggera, nebbione in quota e basse temperature. Mi sono portato appresso due nuove paia di scarpe, le Ultra Sense 1 della Salomon e le Roclite 295 dell' Inov8, con le prime già ai piedi e senza calze, come le star. Ho chiesto le condizioni del terreno al mio vicino di parcheggio e mi ha detto che è un po' bagnato. Allora ho deciso di cambiare scarpe e di indossare le più sicure Roclite 295, più pesanti, ma dal profilo più marcato. Il mio vicino, al mio cambio, mi ha guardato con sorpresa e mi ha detto che lui aveva un solo paio di scarpe, per la verità abbastanza datate, che gli bastano e avanzano. Al via sono partito prudente e ho cercato di tenere un ritmo decente nella varie salite dei 1100 metri di dislivello che mi dovevano portare all'arrivo dopo 9 interminabili chilometri. La corsa, però, non mi è riuscita molto bene e così sono passato molto presto al passo. Non ho avuto la forza di correre sulle salite come nel 2011 e il mio passo da mangia polenta in salita era quello che era, vale a dire lento. L'umidità, la nebbia e l'appannamento degli occhiali, mi hanno tolto di fatto anche l'ultima possibilità di correre nella breve discesa finale. Alla fine ho impiegato 1h:16'  per tagliare il traguardo in mezzo alle nuvole a braccia alzate e col sorriso stampato in viso, forse più per la voglia di nebbia padana che per il confortevole 25-mo posto conquistato. Immancabile l'appuntamento in baita per il ristoro conclusivo dove ho ritrovato il mio vicino di parcheggio. Con la consapevolezza di non essere mai scivolato grazie all'ottimo grip delle mie nuove fiammati Roclite 295, gli ho chiesto come è andata la sua gara. Mi ha risposto che è andata bene: primo posto assoluto, così come quello di categoria anni 50, e tutti a casa quelli che credono che con le scarpe super tecnologiche si fanno i risultati, oppure che la vittoria è solo una questione tra under 35. La classifica finale qui.

lunedì, settembre 01, 2014

Perché corro un'ultramaratona

Non sempre è possibile evitare domande scomode
Ogni tanto mi capita e anche questa volta è successo di nuovo. Vale a dire trovarmi di fronte alla nuda e inevitabile domanda del mio interlocutore occasionale, il quale, su due piedi, mi chiede inesorabile il perché corro un'ultramaratona. Fossi il campione di scacchi  Magnus Carlsen, probabilmente lascerei cadere la domanda e alzerei i tacchi come fa quando gli chiedono quale sia il pezzo della scacchiera che più gli piace. Ma se le mie vie di fuga sono bloccate, qualcosa devo pure inventare. Mi chiedo come mai nessuno mi abbia mai chiesto perché abbia guardato un spettacolo come le partite dell'Italia agli ultimi mondiali, passato un pomeriggio in un centro commerciale, o trascorso qualche ora in coda in autostrada completamente bloccato, anche se in questi casi proprio non saprei cosa rispondere.

Leggo i racconti di gare di altri personaggi che corrono come me e trovo molti riferimenti a questo tipo domanda. "Le mie 10 ragioni perché corro un ultra trail", "Sette motivi per correre un ultra" e altri interessanti posts sulla stessa linea, uno addirittura ci ha scritto sopra un libro (già ordinato). Potrei imparali a memoria, sono argomenti ragionevoli e infine recitarli al mio interlocutore appena si dovesse lasciare scappare la famigerata domanda.

Però mi chiedo, veramente sono nato per correre? Fossi nato al posto di mio nonno, avrei corso per i campi anziché andare a segare delle rive? Oppure lui non lo sapeva, come suo padre e il padre di suo padre che era nato per correre? L'uomo riesce a correre più a lungo di ogni altro animale, ma i cavalli che regolarmente sfidano le persone in gare di resistenza hanno seguito la tabella di allenamento personalizzata, test del lattato, cardiofrequenzimetro, montato ferri in carbonio, selle in titanio ultraleggere e scaricato l'ultima App per mantenere alta la motivazione, prima dell'inesorabile sconfitta? Leggo di endorfine, runner's high e altri stati di alterazione generici che magari in un'altra epoca si scoprivano all'osteria o in altri luoghi di malaffare e se chi mi sta davanti poi capisce male?
Corro diciotto ore perché ne sono capace, perché è possibile. Come riesco a contare quanti cartelli verdi ci sono sulla A4 tra Venezia e Milano, quante lettere h ci sono nelle prime venti pagine della Gazzetta dello Sport e magari, perché no, quanti sassi ci sono ad Acitrezza. Sappiamo fare così tante cose interessanti, che magari un'ultra passa nel calderone senza neanche saltare all'occhio.

Eccola finalmente la motivazione finale, quella che taglia la testa al toro, quella che merita di essere la trama di un intero libro ed è capace di convincere anche l'interlocutore più scettico.  Ce l'ho qui sulla punta delle dita che battono sulla tastiera: "Corro un ultra perché...", ma la devo proprio scrivere? Anche se non la conosco e non so proprio come mai potrei saperla?
Una volta d'inverno nevicava, d'estate faceva caldo e queste domande non le facevano. Questa è la verità.